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Avv. Falci: Il «mio» processo Tortora (IX Parte)
Depositai i motivi di appello nei quali dovetti contenere il mio disappunto e non fui diretto e chiaro come avrei voluto (avrei rischiato l’oltraggio); cercai di non farmi prendere la mano. Inoltre non avevo scritto del fatto che prove di P.A.2 erano state utilizzate per P.A.- Mi ero riservato il colpo di scena nella discussione.
A questo punto iniziò l’attesa della fissazione del dibattimento di appello che si sapeva, non poteva essere distante per non fare scattare le c.d. scarcerazioni automatiche per decorso del termine massimo di carcerazione.
Ed infatti, a giugno, eravamo di nuovo tutti nell’aula Ticino per celebrare il grado di appello del processo innanzi la V sezione della Corte d'Appello di Napoli.
Quella mattina della prima udienza c’era la solita diatriba tra chi riteneva che fossimo stati “fortunati” di essere capitati con questa sezione e chi, invece si lamentava di questa assegnazione. Io non potevo esprimermi. Non avevo fatto molti processi a Napoli e, perciò non avevo avuto esperienze né negative né positive. Alberto Simeone era contento, e questo mi bastava per esserlo anche io.
In effetti, in genere, il metro di gradimento per gli avvocati di un determinato giudice è il seguente: se ci hai vinto una causa è un ottimo magistrato, equilibrato, un collegio che giudica con serenità; se ci hai perso, è un pazzo, uno che non sa assolvere, un colpevolista, un collegio da evitare.
E’ chiaro che sono giudizi direi, “interessati”, e come tali inattendibili.
Salutai un po’ tutti, chi per nome e chi chiamandolo “avvocato”; ci sono alcuni colleghi che, benché me lo abbiano chiesto di dargli del tu, non riesco proprio a farlo. Sarà una forma di esagerata riverenza.
Vidi che era presente in aula, sul banco che era stato del P.M. Marmo, il Procuratore Generale che mi dissero chiamarsi Armando Olivares.
Mi sembrò una brava persona, diciamo che mi piaceva più di Marmo, ma questo era abbastanza scontato. Quel P.G. per lo meno, a differenza di quel P.M., non sembrava così pieno di sé e non si dava molte arie, anzi era sorridente e cordiale, in maniera spontanea, con gli avvocati che gli stavano vicino e si intrattenevano a colloquiare.
Occupai un posto accanto Alberto Simeone e, mentre parlavamo del più e del meno, suonò la campanella che annunciava l’ingresso della Corte.
Entrarono i tre giudici e subito, a pelle come si suole dire, ebbi una impressione positiva del collegio. In particolare mi colpì il Presidente Antonio Rocco.
Aveva un sorriso disteso, autentico, che mi sembrava rassicurante.
Non aveva una faccia con lineamenti gentili, ma abbastanza marcati, ricordava, anche nell’altezza, vagamente l’attore Christopher Lee, il famoso interprete del Conte Dracula, però, ciò nonostante si capiva che era una persona tranquilla, per bene.
Era un po’ come mio padre che sembrava severo nell’aspetto, ma dentro era tenero, gentile.
Ci accolse con il sorriso, ci invitò a sederci e diede inizio al dibattimento di appello con il solito appello degli imputati e dei difensori al quale risposi per due volte “presente” alzandomi per farmi vedere.
La causa come avviene in appello, ebbe inizio con la “relazione” del giudice relatore che può essere uno qualsiasi dei tre del collegio.
Il nostro giudice relatore era il dott. Michele Morello altra persona che subito mi ispirò fiducia, anch’egli disteso e tranquillo, espose con dovizia di particolari l’iter che aveva condotto alla sentenza, i punti cruciali della motivazione della stessa, le doglianze scritte nei motivi di appello, le richieste di rinnovazione formulate. Non tralasciò niente e, soprattutto, non tralasciò nessun imputato, furono tutti individuati con nome e cognome.
In appello sparirono subito “gli altri” del primo grado.
Il terzo giudice del collegio era il dott. Carmine Ricci che, vuoi perché in compagnia di due “simpatici”, vuoi perché di aspetto distinto e aristocratico, andava bene anche lui, per lo meno a livello empatico.
Finita la relazione bisognava subito, in via preliminare, pronunciarsi sulle richieste di “parziale rinnovazione del dibattimento”, cioè bisognava stabilire se le richieste di prove avanzate dagli appellanti, dovessero o meno trovare ingresso in questa fase del giudizio; va da sé che avrebbero trovato ingresso se la Corte le avesse ritenute, non ricordo all’epoca se si dicesse, utili o indispensabili alla decisione.
Il P.G. Olivares, bassino e senza capelli, si oppose fermamente alle numerose prove richieste soprattutto da Enzo Tortora; per quanto riguardava la mia rinnovazione non si oppose perché in effetti si trattava di acquisire formalmente il certificato del carcere di Pianosa in cui si attestava che in quell’istituto di pena P.A. non aveva mai messo piede. Io, per prudenza, lo avevo allegato ai motivi e quindi, di fatto già stava agli atti e il P.G. non ne aveva chiesto l’esclusione per cui, anche se si fosse solo opposto, il documento rimaneva lì dove era.
Commentò, ridendo anche ad alta voce, Alberto Simeone, a cui avevo confidato la mia “mossa”: “che figlio di buona madre che sei, mi hai insegnato questo trucchetto, e bravo Giovannino”.
La Corte decise di rinviare l’udienza e si riservò di decidere sulle richieste.
All’udienza successiva, in apertura del dibattimento, il Presidente Antonio Rocco lesse l’ordinanza con la quale la Corte aveva accolto tutte le richieste di rinnovazione del dibattimento.
Era chiaro che il processo iniziava bene, la Corte voleva “controllare” i pentiti, voleva cioè, fare quello che di lì a qualche anno verrà imposto al giudice di fare, con una precisa norma del nuovo codice di procedura penale, voleva procedere al c.d. riscontro.
Finita l’udienza nella quale venne fatto un calendario fitto di date nelle quali si sarebbe svolto il processo di appello, rientrai a Salerno non prima di aver condiviso con Enzo Tortora e i suoi avvocati, la soddisfazione di quel primo risultato a nostro favore.
Dico a nostro perché, anche se io non avevo richiesto di sentire testimoni, quel provvedimento mi consentiva di argomentare le mie ragioni. Se era necessario riscontrare l’accusa dichiarativa del pentito, se era necessario “vestire” la prova del pentito come si diceva all’epoca, andava da sé che una sola prova “svestita” doveva portare all’assoluzione dell’imputato.
Rientrai a Salerno, perciò, soddisfatto e tranquillo.
Anche quella mia personale scaramanzia dell’onda e della risacca, sembrava andare nel verso giusto. La Corte di Assise di Milano aveva condannato all'ergastolo Michele Sindona quale mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, curatore fallimentare della Banca Privata Italiana, e quindi, ora, poteva starci, nella risacca l’assoluzione di Enzo Tortora e di P.A. al quadrato.
Mi potevo, perciò, mettere anche a vedere, in completo relax, i mondiali di calcio che si stavano svolgendo in Messico e, in particolare Maradona.
Io sono da sempre milanista e proprio quell’anno Berlusconi aveva acquistato la mia squadra con proclami di farla diventare di nuovo grandissima e degna della sua storia (promessa mantenuta); ma davanti a Maradona non c’è possibilità di resistere o di discriminare per la maglia che indossa.
Maradona è di tutti quelli a cui piace il calcio, dovrebbe, se fosse possibile, essere dichiarato patrimonio dell’Unesco. E proprio in Messico dimostrò la sua immensa grandezza: l’Argentina non vinse quel Mondiale, lo vinse Maradona!
Le varie udienze si succedevano con un ritmo serrato e in ognuna di esse si veniva dipanando la matassa delle calunnie costruite a tavolino dai pentiti e dai testimoni.
Dichiarerà 30 anni dopo il Giudice Morello “noi facemmo 100 nuovi accertamenti istruttori. Quindi è evidente che ci fu una carenza istruttoria in primo grado”.
Ricordo bene Italo Clerici, il direttore degli studi di Antenna 3, che nell'udienza
dell'8 luglio 1986 (due giorni dopo che a Londra Boris Beker si era riconfermato campione del torneo di Wimbledon questa volta con il mio tifo a favore perché l’avversario era l’odiosissimo Ivan Lendl) confermò di aver invitato Margutti come spettatore alla serata di beneficenza per l'Unicef, ma escluse che il pittore e la moglie avessero potuto muoversi per i corridoi e negli altri studi della televisione. Quindi a maggior ragione escluse tutta la storia della rottura dell’elastico degli slip della moglie del pittore.
Pensai tra me che una cosa così semplice, era assurdo che non si fosse fatta in I grado così come, era assurdo che durante la fase istruttoria si fosse omesso di fare l'unica verifica logica sui numeri di telefono rinvenuti in una perquisizione con a fianco scritto “Enzo Tortora”, e cioè comporre il numero 442168 per sentirsi rispondere dal signor Enzo Tortona e fare poi il numero 325095 per trovare la signorina Marta Antonia Onofrio, fidanzata di Giancarlo Tortona, fratello di Enzo Tortona.
Oramai procedeva tutto per il verso giusto e la distrazione mentre guidavo non era più legata al pensiero del processo, ma ad altro.
Mi va di dirlo, ero passato dal “pensare” a D’Amico Pasquale a pensare a Kim Basinger e in particolare al suo sedere nell’ultima scena dello spogliarello di 9 settimane e mezzo, film uscito in quel periodo che mi aveva “colpito” molto.
Un sedere a forma di cuore che appare sotto lo scorrere di una sottana di seta che scivola con la giusta velocità. Il sedere più bello del cinema di tutti i tempi!
Secondo me quel “pensiero” era un altro segnale di ottimismo, il sedere nella cabala è la fortuna, il numero 16; e poi il sedere è una parte del corpo sorridente, allegra, ovviamente quando è come quello di Kim Basinger o di Sharon Stone.
Durante queste udienze pure io contribuì ad arricchire il materiale probatorio che serviva per la decisione: P.A.2 mi aveva consegnato una lettera che aveva ricevuto dal Pentito D’Amico Pasquale in persona nella quale questi gli chiedeva scusa per averlo accusato ingiustamente. Con un tono di grande paternalismo, finto moralismo e senso della famiglia che può avere chi si è reso colpevole fra l'altro dell'assassinio, con successivo "impalamento", di un detenuto nel carcere di Poggioreale appartenente ad un clan rivale, il pentito scriveva: “Compare, io a te non ti ho legalizzato e non so se fai parte della NCO l'unica cosa che voglio dirti è che ho un peso sulla coscienza e che da padre di 5 figli non posso più sopportare cioè che tu stai in prigione perché me lo avresti confidato a me ed altri pentiti a Pianosa(...)".
Ovviamente il P.G. si oppose con tutte le sue forze e insisteva sul fatto che non si poteva acquisire il documento sia perché non lo avevo richiesto nei motivi di appello (ero secondo lui decaduto), sia perché non c’era la certezza che fosse firmato autenticamente da u’ cartunaro.
Io mi limitai a dire che il documento era successivo alla presentazione dei motivi e che per la firma si sarebbe potuta fare una perizia calligrafica.
La Corte acquisì la lettera con riserva di decidere sulla eventuale perizia.
Anche questa volta Alberto Simeone presente in aula al mio fianco, tirò in ballo mia madre con il solito appellativo quando seppe quale era il mio colpo segreto.
Dissi ad Alberto che ormai quella lettera era entrata nel fascicolo ed era di D’Amico perché l’autenticità della firma la si vedeva ad occhio nudo confrontandola con le decine di firme del pentito in calce ai verbali di interrogatorio che erano in atti. Il Giudice è o no peritum peritorum?
Fu a questo punto che Alberto con il solito sorriso e con la gioia per il collega e l’amico, evocò quella “buona donna” di mia madre.
Comunque terminate le udienze anche in questo grado di giudizio, iniziò la fase della discussione e dopo la requisitoria del P.G. che chiese l’integrale conferma della sentenza di I grado, il mio turno di intervento fu fissato, udite udite, il 31 luglio. E’ questa la data del “mio” processo Tortora, 31 luglio giorno in cui si festeggia San Ignazio di Loyola.
Questo santo è famoso per i suoi aforismi uno dei quali si abbinava bene al processo in corso: “Chi si trova nella desolazione si sforzi di conservare la pazienza, che si oppone alle sofferenze che patisce; e pensi che presto sarà consolato, se si impegna con ogni diligenza contro quella desolazione.”
E infatti bisognava avere pazienza e aspettare quel giorno con impegno diligente.
Si era verificata, con il 31 luglio la c.d. “ripetizione”; una combinazione che imparano bene, me compreso, i giocatori di roulette che lasciano la puntata sul numero vincente e ritirano solo la vincita, anzi, il vero giocatore (anche io), raddoppia la puntata e sulla originaria fiches ne aggiunge un’altra prelevandola da quelle vinte.
Questo della ripetizione, però, era un segnale che non sapevo decifrare bene.
Se lo ponevo in relazione alla mia performance andava benissimo, ero stato (modestamente) bravo; ma se lo ponevo in relazione al risultato andava malissimo (tutti condannati).
Comunque quello era il giorno e per quella data dovevo essere pronto con un impegno diligente, come diceva il Santo Ignazio.
Quella mattina, a casa, quando mi preparai per andare in Tribunale non c’era neanche mia figlia Mariella. Era in vacanza con la madre a Praiano in una casa che avevo preso in affitto per il mese di luglio; agosto, sempre e solo Torraca, anche quando, grazie ad Antonio Amato, mio amico di vecchia data, ho villeggiato a Saint Moritz dove ho conosciuto la meraviglia della montagna d’estate ad agosto.
Mentre mi recavo a Napoli quella mattina pensai che ero diventato “grande”, o per lo meno mi illudevo di esserlo diventato. Non ero il primo della mattina, posto in genere riservato ai pischelli, ma ero più o meno a metà degli interventi programmati per quel giorno.
A me piace molto scherzare con me stesso e su me stesso, da solo; mi piace di ridere di me stesso, e in quella occasione così fu: pensavo di essere “grande” ma ridevo tra me e me perché sapevo di non esserlo.
Del resto avevo solo 31 anni, uno in più dell’anno prima.
Giunsi nei pressi della “Ticino” e decisi di sfidare la sorte: andai a prendere il caffè nel bar dell’altra volta, nonostante ci fosse stata la condanna di P.A. al quadrato. Del resto avevo preso le mie precauzioni scaramantiche: avevo un abito blu invece che quello color panna dell’anno prima.
Ero stato abbastanza ottimista nel pensare che i colleghi che mi precedevano avrebbero finito per l’orario del mio arrivo. Attesi più di tre ore prima che arrivasse il mio turno e in quel lasso di tempo iniziò a salire la pressione; ho rimpianto l’anno precedente dove, da primo, non dovetti attendere la fine di nessuna discussione. Il nervosismo mi faceva anche giudicare male le “arringhe” dei colleghi colpevoli solo di essere in turno prima di me, ma in realtà erano tutti all’altezza della situazione.
Comunque arrivò il mio turno dopo ancora un ultimo supplizio e cioè dopo che fu decisa, mentre ero pronto, una pausa.
Sembravo in una scena da film comico quando, dopo una lunghissima fila, il Fantozzi di turno arriva allo sportello e l’impiegato gli abbassa la serrandina sulle dita dicendo “chiuso”.
Accumulai altra tensione perché, tra l’altro, fu rispettata la regola che i 10 minuti di interruzione dichiarati, durano 30/40 minuti reali.
Ad ogni buon conto, al rientro della Corte, il Presidente mi diede la parola e iniziai il mio intervento di 54 minuti (tempo ripreso dalla cassetta registrata).
Mi sciolsi bene e iniziai a muovere le critiche alla sentenza e a dire che la firma della lettera di D’Amico ricevuta da P.A.2 era originale. Mi avvicinai al Presidente e gli mostrai quella in calce alla lettera messa vicina a una in calce a un interrogatorio e il Presidente e gli altri due giudici a latere si sporsero, guardarono, controllarono e, all’unisono, annuirono.
Mostrai anche al P.G. i documenti in questione, ma lui non annuì.
Sentivo che la Corte era dalla mia parte, o meglio, era laica, neutrale, equidistante da accusa e difesa, non perseguiva lo scopo di verificare se quello che avevano detto i pentiti andava a confermare l’ipotesi dell’accusa, ma solo di cercare di capire dove era la verità e se si potesse o meno arrivare alla certezza della colpevolezza.
A questo punto dissi che la presenza dei due documenti determinava la classica situazione della insufficienza di prove che all’epoca era una terza strada tra l’assoluzione e la condanna. Non era ancora entrato in vigore il codice Vassalli e non era ancora stato inserito l’inserto “al di la di ogni ragionevole dubbio” nella norma che disciplina la condanna dell’imputato, ma la situazione era di assoluto dubbio.
“Un dubbio, sig.i della Corte che è ancora più evidente se andiamo ad esaminare le modalità di acquisizione delle dichiarazioni, i verbali dove leggiamo ADR ma non sappiamo quale domanda è stata formulata e tanto altro ancora”.
A questo punto mi misi a cercare la pagina della informativa dei Carabinieri dove c’erano riassunte le risultanze delle accuse dei pentiti e dove gli imputati erano indicati in ordine alfabetico e in grassetto.
Mi serviva evidenziare alla Corte che con le prove di P.A.2 non scritto in grassetto in quell’atto, si era motivata la condanna di P.A. che lo precedeva in quel rapporto dei Carabinieri. Volevo dare il colpo a sorpresa e criticare la superficialità con cui il Tribunale aveva letto i documenti.
La ricerca, però, come spesso mi capita quando indosso la toga, si era complicata perché le maniche larghe di quell’indumento in genere fanno svolazzare i fogli predisposti per essere consultati. A questo punto nella mia difficoltà evidente, con la testa calata nel mare di fogli che avevo davanti ormai rigorosamente disordinati, sentii il dott. Michele Morello dirmi: “avvocato pagina 265 del verbale del ……. 1983”.
Alzai lo sguardo e vidi il volto sorridente e disteso del giudice con il foglio in mano che me lo porgeva.
Non lo andai a ritirare. Avevo vinto e lo avevo capito in quel momento!
Il giudice seguiva la mia discussione e conosceva gli atti meglio di me.
Aveva scoperto da sé l’errore della sentenza di I grado, e si trattava di P.A. non di Tortora o Califano, del sindaco o dell’avvocato.
Era bastato che accennassi il problema del grassetto e dell’errore perché lui individuasse immediatamente il foglio a cui mi riferivo. Lo sapeva già!
Da quel momento anche Morello oltre il Presidente che mi era piaciuto fin dall’inizio entrò prepotentemente nelle mie grazie. L’altro, il terzo, il giudice Carmine Ricci era ormai, nella sua signorilità di portamento, inutile da decifrare: ora, se fosse stato contrario, era in minoranza nella mia immaginazione e nella mia speranza.
Continuai riferendo gli spunti che avevo sentito e annotato nel Convegno Nazionale di Magistratura Democratica che si era tenuto nel ponte del 1 maggio di quell’anno a Rimini e a cui avevo partecipato di proposito. Ricordo ancora un intervento del giudice Giuseppe Di Lello Finuoli che mi piacque anche per l’efficace etichetta che collegò alla semplice accusa dei pentiti senza riscontri. La definì con un termine di Giovanni Falcone, del cui pool faceva parte, una “scorciatoia probatoria”.
“Perciò sig.ri giudici della Corte il pentito non può rappresentare il punto di conclusione della indagine, dell’istruttoria. Il pentito con le sue propalazioni rappresenta il punto di partenza della istruttoria. D’Amico ci dice questo, e allora andiamo a vedere se c’è qualche elemento, di qualsiasi tipo, che lo conferma. Qui, Sig.i della Corte non ci si è mossi in questo modo che è quello che indica Giovanni Falcone che è il giudice che ha fatto parlare Buscetta, ma dopo è andato a controllarlo nelle banche, sui luoghi, nei documenti; qui si è iniziato e finito con i pentiti, si è presa una scorciatoia, una scorciatoia probatoria. Questo impianto, perciò, non può reggere in uno stato di diritto nel quale si chiede al giudice di motivare la sentenza. Quella di primo grado non è una motivazione che in punto di fatto e di diritto giustifica la scelta che il giudice ha operato. In quella sentenza i Giudici hanno voluto dirci: lo dice D’Amico, lo dice Barra, lo riferisce Mario Incarnato e allora non può che essere vero. Non è così. Quella sentenza vuole persuaderci della bontà della decisione, ma vi renderete conto che persuasione e giustificazione sono due concetti profondamente diversi. Voi dovete giustificare razionalmente la vostra decisione. Non dovete persuaderci della bontà e della opportunità della vostra decisione, dovete spiegarci l’iter razionale seguito per giungere a essa ”.
Questa volta rientrai a Salerno senza riposare come l’anno prima, anzi ritornai allegro, soddisfatto, euforico. Anche se per scaramanzia sia ai parenti dei miei clienti che ai miei amici e parenti che mi chiedevano del “famoso processo di Napoli”, rispondevo che era difficile: “speriamo bene”.
E’ proprio vero la vita, il lavoro, è come il gioco. Io dormo bene quando perdo al casinò; dormo agitato quando vinco. Avevo dormito 42 ore di seguito l’anno prima, neanche un minuto questa volta.
Questa volta ero in aula il 15 di settembre (pure il numero era propizio), nella smorfia il 15 è “u’ guaglione”, il ragazzo, quel ragazzo, professionalmente parlando, che ero io in quel giorno, quel ragazzo che dopo quella sentenza diventerà “adulto”; diventerà “quello” che aveva fatto quel processo storico e aveva sentito con le sue orecchie, in prima fila il Presidente della V sezione della Corte d' Appello di Napoli, Antonio Rocco , dire che “in nome del popolo italiano” P.A. veniva assolto per insufficienza di prove e Enzo Tortora per non aver commesso il fatto.
La Corte aveva fatto giustizia sia per Tortora che piangeva insieme all’avvocato Raffaele Della Valle e baciava l’avvocato Alberto Dall’Ora, sia per P.A. che dalla “gabbia” che avrebbe lasciato di lì a poco, entro la sera, per tornarsene a Nocera dalla madre e dai fratelli, si slanciava in un abbraccio dell’aria oltre le sbarre che predisponeva a quello che mi avrebbe fatto l’indomani quando lo trovai sotto casa alle 8,30 mentre uscivo per andare a lavorare.
Non salutai Enzo Tortora, sarebbe stato impossibile avvicinarsi, ma sono sicuro che anche lui avrebbe voluto stringere la mano di quel giovane avvocato con cui si era intrattenuto a parlare di arte, architettura, sport.
Dopo tutto avevamo passato quasi due anni insieme, nel cortile, nell’aula a distrarci.
Il “mio” processo Tortora non finì quel pomeriggio.
Continuò perfino con il nuovo codice Vassalli.
Ma quello non sarà più il “mio” processo Tortora, sarà solo il processo di P.A.
(Giovanni Falci)



Antonio Rocco Il Presidente della V sezione corte di appello




contraddittorio tra avv. Falci e il Pg Olivares in aula


Gli avvocati Dall'Ora e Della Valle


Gli avvocati Dall'Ora e Della Valle


Il giudice Michele Morello relatore ed estensore della sentenza di appello




Tortora in appello


Il Presidente Rocco legge la sentenza di assoluzione


Tortora con le figlie dopo l'assoluzione
Inserito da Golfonetwork mercoledì 6 maggio 2020 alle 21:03 commenti( 0 ) -

Salerno: recuperate due auto rubate provenienti dal Canada

Salerno- Le accurate indagini condotte dal personale della Polizia di Frontiera Marittima e Aerea di Salerno, con la costante collaborazione con gli altri ufficiali delle forze di polizia estere, hanno permesso di sgominare un traffico internazionale di auto rubate e destinate al riciclaggio e alla vendita al mercato estero. La motonave Genoa Express, è attraccata al porto di Salerno – proveniente dal Canada - diretta, dopo una sosta di un solo giorno, al porto di Mersin, in Turchia.

La Polizia di Toronto ha segnalato il furto di due vetture di pregio:

- una Toyota Rav 4 Hybrid, 180 cavalli, di colore bianco del valore di oltre 41.000 euro;
- una Jeep Wrangler Unlimited Sahara, di colore nero,  del valore di oltre 58.000 euro.

Dopo una intensa attività di analisi, il personale della squadra di Polizia Giudiziaria e frontiera di Salerno ha dedotto che le auto potessero celarsi all’interno di un container a bordo della nave porta contenitori diretta proprio in Medio Oriente.
Infatti sia lo spedizioniere dal Canada che il committente sono di nazionalità turca. Per riuscire a localizzare le auto rubate gli uomini della squadra di Polizia Giudiziaria hanno dovuto recarsi sul ponte della nave e, con l’ausilio della strumentazione tecnologica, procedere ad una ricerca accurata tra centinaia di containers. Le due auto erano state imbarcate nel porto di Montreal in Canada e, dopo una breve sosta nel porto di Salerno, erano destinate al porto turco di Mersin, ove se ne sarebbero perse per sempre le tracce. La ricerca è stata difficile e faticosa perché i contenitori a bordo della nave erano centinaia, alcuni posti in fila l’uno sull’altro, rendendo le operazioni di rintraccio estremamente difficoltose perché ognuno andava accuratamente controllato. Una volta individuato il container, aperti i portelloni, sono comparse le due auto di pregio poste una dietro l’altra. Grazie al tempestivo intervento del personale della Polizia di Frontiera di Salerno le due auto compendio di furto, dopo i rilievi e gli accertamenti del caso, saranno restituite ai legittimi proprietari. Le indagini della squadra investigativa proseguiranno al fine di trarre in arresto il ricettatore, per il quale occorrerà una rogatoria internazionale che sarà avviata dalla Procura della Repubblica di Salerno.
(Polizia di Stato)

Inserito da Golfonetwork mercoledì 6 maggio 2020 alle 21:01 commenti( 0 ) -

Sarno: denunciato un pregiudicato per furto aggravato

Sarno- Nella giornata del 4 maggio 2020, gli agenti della Polizia di Stato del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Sarno, hanno denunciato in stato di libertà all’Autorità Giudiziaria un uomo, A.S. di anni 36, noto pregiudicato di Sarno, ivi residente, resosi responsabile dei reati di furto aggravato ed indebito utilizzo di carte di credito e di pagamento. L’indagine, scaturita dalla denuncia di una donna residente a Sarno, alla quale era stato sottratto il bancomat, ha permesso di individuare il soggetto, il quale aveva già prelevato, in varie occasioni, l’intera somma disponibile, per un importo di circa 7.000 Euro. L’attività investigativa, che è durata qualche settimana, si è concentrata sull’analisi dei movimenti dell’estratto conto, con le date dei prelevamenti agli sportelli bancomat e con la relativa acquisizione delle immagini di videosorveglianza, ciò che ha consentito agli operatori di Polizia di risalire, anche con l’ausilio di specifiche elaborazioni tecniche  del personale della Polizia Scientifica, all’autore del furto, già noto alle forze dell’ordine.
(Polizia di Stato)



Inserito da Golfonetwork mercoledì 6 maggio 2020 alle 20:55 commenti( 0 ) -

Michele Strianese ricorda l´alluvione a Sarno 22 anni fa

A Sarno tra il 5 e il 6 maggio del 1998 si consumò una delle più grandi tragedie italiane. Oltre Sarno furono coinvolti altri comuni come Bracigliano, Siano e poi comuni di altre province come Quindici e San Felice a Cancello. In tutto ci furono 160 morti, di cui 137 solo a Sarno, con 3mila sfollati, 180 case distrutte e oltre 450 danneggiate.
"Ricordare quei momenti di 22 anni fa per me è molto doloroso – dichiara Michele Strianese, Presidente della Provincia di Salerno e Sindaco di San Valentino Torio. Quel giorno ero proprio a Sarno, in palestra. All'uscita il paese si presentava come un far west.
Elicotteri, carabinieri, ambulanze, vigili del fuoco. E poi fango, e soprattutto morte. Tanti conoscenti scomparsi in quella "lava" assassina.
Uno dei più grandi disastri idrogeologici mai visti al mondo, da cui Sarno si è ripresa, non senza difficoltà. Vedere Roberto Robustelli, oggi ViceSindaco di Sarno, rappresenta proprio il simbolo di quella "resistenza", ovvero la capacità di venirne fuori, nonostante tutto.
Da parte mia e delle Amministrazioni che rappresento: Forza Sarno!”
(Maria Rosaria Greco)


Inserito da Golfonetwork mercoledì 6 maggio 2020 alle 19:46 commenti( 0 ) -

Notizie Flash (5/5/2020)

Salerno- Polizia di Frontiera blocca traffico internazionale di auto rubate.

Agropoli- Auto avvolta dalle fiamme durante la scorsa notte.

Inserito da Golfonetwork martedì 5 maggio 2020 alle 20:43 commenti( 0 ) -

SP 2a – Lavori ripresi a pieno ritmo a Corbara

A causa dell’emergenza sanitaria epidemiologica che ha colpito l’intero paese, l’intervento già avviato dalla Provincia di Salerno lo scorso mese di marzo sulla SP 2 nel comune di Corbara, era stato interrotto. Parliamo dei lavori denominati “Strada provinciale n. 2/a – tratto in corrispondenza del km 3+700 nel comune di Corbara. Intervento per riapertura totale al transito veicolare”. Si tratta di intervento di somma urgenza per la messa in sicurezza della strada.
“Oggi abbiamo riaperto il cantiere - dichiara il Presidente della Provincia, Michele Strianese – con il coordinamento del settore Viabilità e Trasporti, diretto da Domenico Ranesi. Dopo l’interruzione obbligatoria che ha fermato l’intero paese per l’emergenza da Covid19, abbiamo ripreso a pieno ritmo questi lavori che sono necessari per consentire la riapertura totale al transito della SP 2/a ricadente nel comune di Corbara al Km 3+700, a seguito del crollo delle opere di sostegno di valle.
Attualmente il transito era consentito solo a mezza carreggiata. Le opere di sostegno in corso di realizzazione sono costituite da paratie di micropali in conglomerato cementizio armato con utilizzo di pali di diametro pari a 30 cm e approfonditi rispetto al piano stradale per una lunghezza di 11 ml, armati con tubolari in acciaio del diametro esterno di 244,5 mm e di spessore pari a 11 mm. Porteremo a termine nel più breve tempo possibile questo intervento mantenendo in vigore il transito a mezza carreggiata. Si provvederà, inoltre, alla ricostruzione dei parapetti e della pavimentazione stradale.”
(Maria Rosaria Greco)



Inserito da Golfonetwork martedì 5 maggio 2020 alle 20:34 commenti( 0 ) -

Notizie Flash (4/5/2020)

Capaccio/Paestum- Rissa fra tre fratelli ed un amico dei tre in località Santa Venere. Tutti i coinvolti sono pregiudicati con diversi precedenti per furto e reati contro il patrimonio. I Carabinieri hanno arrestato due persone e sono scattate ulteriori denunce.

Fase 2 Covid-19: Treni in arrivo dal Nord alle stazioni della Regione Campania: scattano i controlli.

Salerno- Trovata tartaruga morta sulla spiaggia del Lungomare Colombo.

Sarno- Polizia di Stato denuncia un pregiudicato per furto aggravato.

Inserito da Golfonetwork lunedì 4 maggio 2020 alle 13:48 commenti( 0 ) -

Notizie Flash (3/5/2020)

Atena Lucana- Festa di compleanno sulla terrazza di un'abitazione: sanzionate 11 persone dai Carabinieri. Il valore totale delle sanzioni ammonta a 4.500 euro.

Montecorvino Rovella- Spaccio di droga: arrestato un uomo di 34 anni.

San Marco di Castellabate- Incidente stradale ieri sera nel territorio comunale di Castellabate. Scontro fra un'auto (Fiat Panda) guidata da un uomo del posto ed uno scooter su cui viaggiavano due ragazzi. Il conducente del ciclomotore era sprovvisto di patente ed il mezzo a due ruote era privo di assicurazione. Nel terribile impatto, il ragazzo di 27 anni seduto dietro il conducente dello scooter, è rimasto ferito in modo serio ed è attualmente ricoverato, in prognosi riservata, all'ospedale San Luca di Vallo della Lucania.

Morigerati- Mucca dispersa da diversi giorni salvata da un elicottero dei Vigili del Fuoco.

Salerno- Sindaco annuncia controlli serrati per gli arrivi da fuori regione previsti per domani 4 maggio.

Scafati- Bomba carta esplode durante la notte: danneggiato un negozio.

Sapri- Riapre il cimitero: visite consentite dal lunedi al sabato dalle ore 7.30 alle ore 13.30 con le dovute precauzioni per l'emergenza Covid-19.

Inserito da Golfonetwork domenica 3 maggio 2020 alle 13:37 commenti( 0 ) -

Avv. Falci: Le polemiche sulle «scarcerazioni facili»
Si assiste in questi giorni a un serrato dibattito sui provvedimenti adottati da Tribunali di Sorveglianza in materia di esecuzione.
Subito si sono sollevate ondate di indignazione e iniziative politiche volte a modificare l'assetto normativo.
Vorrei esporre, allora alcune considerazioni che mi metteranno in minoranza perché non condividono il comune sentimento (ci sono abituato).
Il problema è che le mie riflessioni sono di cervello e non di pancia e si basano su argomenti legali precisi e non rincorrono i like dei social.
Le mie riflessioni vanno nel senso opposto a quelle degli "opinionisti" che sarebbe più appropriato definire "tuttologi".
I loro argomenti sono la retorica e la strumentalizzazione del "dolore delle vittime". I miei argomenti sono la Costituzione e le Leggi.
E' fuori dubbio che in presenza di detenuti condannati per l'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso ed in regime di 41 bis, il livello di attenzione e di preoccupazione deve essere maggiore.
Il problema è che, però, questi rischi concreti da valutare vanno affrontati singolarmente, per ogni situazione detentiva e non in blocco come avviene nei dibattiti degli "opinionisti tuttologi".
Occorre, perciò, ribadire alcuni principi che vengono travolti dalle modalità con le quali si affrontano i dibattiti dopo casi rumorosi.
Qui non si tratta di mancare di rispetto verso chi svolge l'encomiabile lavoro di contrasto della criminalità organizzata e che a volte ha pagato con la propria vita questa missione. Io sto con loro, ma non solo.
E allora, se dovessi dire con chi sto, in una situazione di semplificazione a cui l'attuale sistema a tutti i livelli ci sta abituando, io risponderei come detto in apertura: "sto dalla parte della Costituzione".
So bene che il riferimento alla Costituzione è quello più abusato, ma mai come in questi tempi occorrerebbe ri-leggerla la Costituzione, o, per molti leggerla e non conoscerla per "sentito dire".
Si è passati in questo periodo di emergenza covid dall'attenzione ai principi costituzionalmente imposti della umanizzazione della pena e della sua funzione rieducativa, alle urla populiste amplificate da una informazione scandalistica e sensazionalistica collegata a casi di cronaca che hanno riguardato detenuti di notevole spessore criminale.
E' subito ritornato quel facile ricorso all'attitudine demagogica nell'affrontare le questioni.
Il risultato sono state le proteste per alcune decisioni della magistratura di sorveglianza con le quali, per esempio, veniva disposto - temporaneamente - il differimento dell'esecuzione della pena in regime di detenzione domiciliare per la cura di gravi patologie nei confronti di reclusi in regime di 41 bis.
Ne è venuto fuori un quadro confuso e, con facili semplificazioni dotate di maggiore effetto comunicativo.
Si sono accomunate situazioni eterogenee e molto distinte tra loro.
Premesso che non entro nei singoli casi, voglio svolgere, qui, una valutazione della situazione generale e riflettere su alcuni principi.
Voglio solo evidenziare per una corretta informazione che i provvedimenti discussi dai media sono stati adottati per l'assenza della possibilità di eseguire il trattamento sanitario, per la specifica patologia, all'interno dell'istituto in cui era detenuto il condannato, o in una altra diversa struttura penitenziaria.
Queste notizie, tra l'altro sommarie (chi sa quale era la patologia del boss scarcerato?) hanno scatenato una ondata di stupida e generalizzata indignazione.
Si sono perfino attaccati i magistrati che, applicando la legge, hanno emesso i provvedimenti.
Il Governo ha immediatamente ritenuto di dover mettere mano ad una riforma che consiste nell'introdurre nel procedimento dinanzi al Tribunale di Sorveglianza il parere della Procura Nazionale Antimafia.
Si è trattata della ennesima iniziativa adottata sullo slancio emotivo di singoli casi. Si è voluto tranquillizzare l'opinione pubblica alla quale era stata data in pasto la notizia, senza essere stati sufficientemente chiari nel rendere conto delle motivazioni che giustificano l'adozione di questi provvedimenti.
In realtà questa modifica, concepita sull'onda emotiva, ha finito per depotenziare il Tribunale di Sorveglianza che ha già tutti gli strumenti per verificare il percorso di riabilitazione del detenuto e decidere dopo un'istruttoria completa sull'evoluzione della espiazione della pena.
Con questa politica si è confuso il concetto di "certezza della pena" con quello di "esclusività" del modello carcerario della pena.
Un po' come dire se non si sconta in carcere non è pena e, quindi, non viene garantito la certezza della pena stessa.
In effetti, con queste riforme richieste a furor di popolo, invece che il percorso del condannato, si mette al centro dell'attenzione il suo passato criminale.
E come se ci fosse una prosecuzione delle indagini o del processo di merito e non una nuova fase. Verrebbe meno il giudizio sull'attualità del percorso intrapreso con l'esecuzione della pena.
Che volete che possa dire la Procura Nazionale Antimafia sulla sussistenza dei requisiti per ottenere un beneficio penitenziario? Al più potrà raccontare la storia di quel condannato fino al giorno del suo arresto, ma nulla di utile e pertinente potrà fornire al tribunale di Sorveglianza che non deve giudicare un fatto, ma una persona nel suo sviluppo di recupero. Deve valutare, cioè, esattamente quello che non conosce la Procura Nazionale Antimafia a cui si chiede il parere.
Attraverso questa strada della riforma isterica si mette in discussione la legittima rivendicazione del fine rieducativo della pena previsto dall' art. 27 della Costituzione.
La questione riguarda la richiesta di detenzione domiciliare per un detenuto gravemente malato che necessita di cure specifiche non praticabili all'interno della struttura.
Cosa potrà mai sapere la Procura Nazionale Antimafia della salute del condannato. Lo conosce da sano, quando commetteva i reati per cui ha riportato le condanne, non sa mica, oggi, attualmente, in che condizioni di salute versa e se può essere urato in carcere.
Il nocciolo della questione è il riconoscimento del diritto alla salute che non può essere negato, sbiadito, compresso o trasformato in simulacro di un diritto quando si è in presenza di detenuti.
Anche se riguarda condannati per reati gravi.
Questi ragionamenti non hanno niente a che fare con un perdonismo o con un eccesso di buonismo.
Non mi sognerei mai di voler indebolire il principio della certezza della pena né sottovalutare i rischi relativi alla pericolosità sociale di alcune persone.
Sono valutazioni necessarie e doverose a cui nessuno deve derogare.
Tuttavia, a nessun detenuto può essere negato il diritto di curarsi soprattutto quando le gravi patologie dalle quali è affetto necessitano di strutture specifiche idonee al trattamento.
La pena non può essere una vendetta consumata con rabbia.
Questo non lo dico io. Questo lo leggo nella Costituzione dove la pena è concepita con una funzione tutt'altro che animata da una volontà vendicativa.
Questi enunciati, nella troppo invocata (a vanvera) Costituzione, non sono principi derogabili.
Se ci si discosta dalla loro applicazione per tutti e per ciascuno dei detenuti significherebbe tradire proprio la Costituzione che vieta che le pene possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
La Costituzione non è una legge come un'altra e non può essere messa in discussione nei suoi basilari principi sull'onda emotiva di un singolo fatto di cronaca. La Costituzione è il fondamento di ogni altra legge.
Quando la gravità della patologia non consente una cura all'interno della struttura non si può rinunciare a salvaguardare il diritto alla salute.
O si assicurano all' interno del circuito penitenziario le cure necessarie o il ricorso all'esterno diventa un dovere, non un atto spregiudicato.
Abbandonare il detenuto nella impossibilità di curare le gravi patologie da cui è affetto equivale alla negazione del diritto alla salute.
Significa infliggergli una pena disumana. Una condanna a morte anticipata per negazione del diritto al trattamento sanitario.
Va, quindi, ribadito con forza che il diritto alla salute è un diritto che è riconosciuto a tutti. Si, proprio a tutti.
Lo Stato che salvaguarda questi diritti a tutti non è uno Stato debole.
Al contrario, è uno Stato forte, uno Stato che sa contrapporre al crimine ed all'illegalità la fermezza dei propri principi, dei propri valori e del proprio livello di coerenza e credibilità nella tutela dei diritti.
E' lo Stato di Diritto!
(Giovanni Falci)



Avv. Giovanni Falci
(Fare clic sull'immagine per ingrandire)


Inserito da Golfonetwork domenica 3 maggio 2020 alle 13:25 commenti( 0 ) -

Notizie Flash (2/5/2020)

San Gregorio Magno- Morto don Antonio Maria Tozzi: è stato parroco del paese per oltre 40 anni.

Coronavirus- Edmondo Cirielli nuovamente positivo al Covid-19. E' uno dei primi casi di doppio contagio.

Piana del Sele- Extracomunitari in arrivo per lavorare: disposti controlli sanitari.

Capri (Na)- Comune di Capri assegna bonus da 300 euro ai commessi dei negozi.

Salerno- Dal 4 maggio 2020 apertura cimitero dalle ore 7 alle ore 12.

Inserito da Golfonetwork sabato 2 maggio 2020 alle 21:13 commenti( 0 ) -

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