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Sapri: Statua della Spigolatrice
Una composizione di Luigi Mercantini inizia "Si scopron le tombe si levan i morti…", a Sapri allo "scoprimento" della statua della "Spigolatrice", se ne sono sentiti di tutti i colori, partecipare è sempre positivo, dire delle volgarità o delle inesattezze è offensivo, sottolineando che la memoria è un atto di responsabilità. La statua collocata sul lungomare saprese è un monumento, ossia è un'opera d'arte che per i suoi pregi e per il suo significato simbolico dovrebbe avere un particolare valore culturale o morale, ovvero ha l'obbligo di esaltare ed onorare persone o fatti che appartengono alla nostra memoria, nello specifico rappresenterebbe la donna fiera e coraggiosa della poesia. Il primo monumento a Pisacane ed i suoi seguaci lo eresse Luigi Mercantini nell'agosto del 1857, due mesi dopo la conclusione dell'impresa, il poeta di Ripatransone ebbe la capacità di suscitare passioni patriottiche e celebrare l'eroismo dei martiri della causa nazionale, focalizzando l'attenzione degli italiani e dell'Europa su ciò che stava avvenendo nel Regno delle due Sicilie. Purtroppo in occasione dello scoprimento del monumento della Spigolatrice si è alzato un polverone non solo deviante, ma soprattutto irriverente ed oltraggioso sia verso Mercantini, sia verso la stessa Spedizione di Carlo Pisacane che credette fermamente nella sua impresa, e quindi si rende opportuno ricordare i fatti oggettivamente accaduti secondo le fonti più autorevoli, ossia i documenti conservati nel faldone Processi politici presso l'Archivio di Stato di Salerno. Come da programma il 25 giugno 1857 la nave passeggeri Cagliari alle ore 19,00 salpò dal molo di Genova per effettuare la solita rotta per Cagliari e Tunisi, ma poco dopo Pisacane, Falcone e Nicotera si impossessarono della stessa, e sostituito il comandante fecero la rotta verso l'isola di Ponza, ivi imbarcati 323 individui di cui 202 condannati, 118 ex militi, e 3 presidiari, in data 27 alle ore 3,30, la nave lasciò l'isola facendo rotta verso il Cilento. In data 28 giugno nella mattinata "il legno" aveva doppiato punta Infreschi con a bordo un carico di 386 persone, ossia n. 25 amici di Pisacane imbarcati a Genova, 12 passeggeri, 22 membri dell'equipaggio, ed i 323 imbarcati a Ponza, ad essi doverosamente vanno aggiunte due donne che con i loro figli si erano accompagnate ai loro uomini. Alle ore 20,00 Pisacane ed i suoi seguaci sbarcarono in prossimità della Casina bianca in località Oliveto, tenimento di Vibonati (eludendo la difesa che era stata preparata da Fischetti in prossimità del sito della villa romana) dopo qualche scaramuccia con gli urbani del posto, si portarono in Sapri per incontrare il barone Giovanni Gallotti e distruggere la casa del vecchio canonico Vincenzo Peluso (ricordiamo che costui era morto il 4 ottobre del 1852), i nipoti Peluso, avendo saputo in tempo utile della spedizione, avevano allertato la popolazione e quindi fecero trovare le porte delle abitazioni ben serrate, solo il sacerdote Timpanelli diede del formaggio e del pane ai ribelli che si erano sparsi per la cittadina. Quindi nella giornata del 29 il gruppo di rivoltosi con in testa Pisacane proseguì per Torraca, ove si festeggiavano i santi Pietro e Paolo, presiedeva le funzioni sacre monsignor Laudisio, prelato fedelissimo alla corona borbonica, il quale si eclissò per non incontrare i ribelli. Anche qui, come anche a Sapri i rivoltosi cercarono qualche capo di abbigliamento e qualcosa da mangiare (ricordiamo che essi vestivano ancora quei quattro panni lerci da carcerati e non mangiavano da 3 giorni, quindi ovunque si portavano cercavano alimenti per rifocillarsi, a volte anche in un modo violento, erano delinquenti e non stinchi di santi). Un altro episodio riferito alla fame si verificò anche a Casalbuono, Eusebio Bucci dopo aver acquistato delle vivande presso la bettoliera Novellino non volle pagare, sottoposto a giudizio della corte marziale fu finito a colpi di coltello. Lasciata Casalbuono i rivoltosi in prossimità del ponte Cadossano (tenimento di Montesano S.M.) si scontrarono con gli urbani Michele Martino ed Angelo Cestari, una contadina spigolava nel campo adiacente la strada, si buscò un colpo di schioppo e morì, vittima innocente della sparatoria. Costei si chiamava Rosa Perretti di Giosuè, aveva 18 anni, era sposata da un anno con Giuseppe Russo (ASS, Gran Corte Criminale, Processi politici, P.s.S., b. 200, vol.V) unica vittima civile dell'intera spedizione. Gli scontri decisivi tra esercito borbonico e Pisacane avvennero a Padula in un vicolo cieco ove furono massacrati 53 rivoltosi oltre le donne con i bambini (i soldati fecero il tiro a segno contro gente inerme ed indifesa, le salme di costoro furono seppellite alla rinfusa nella chiesa dell'Annunziata). A Sanza nell'epilogo finale morirono oltre a Carlo Pisacane e Falcone altri 25 ribelli (le salme di questi poveri sventurati compreso Pisacane, furono bruciate sul posto). L'intera Spedizione di Sapri comportò la morte di 87 individui, ovvero oltre agli 80 caduti negli scontri i due morti uccisi durante il tragitto da Villammare a Sanza, le due donne ed i loro figlioletti, e Rosa Perretti. I rimanenti 256 ribelli sopravvissuti furono trasferiti a Salerno presso il convento di Sant'Antonio, coperti ancora dagli stessi stracci della partenza dal carcere di Ponza, affetti da scabbia ed altre malattie infettive. Il sacrario di Padula accolse solo i resti dei 53 caduti in quella cittadina (faccio notare che nessuna degna sepoltura ebbero i resti mortali dei caduti di Sanza, il sacrario a Padula è un riconoscimento alla memoria). Ho voluto esporre la verità rilevata dalle testimonianze processuali per fugare dubbi, e che una volta per tutte la gente tenga presente che quella di Mercantini è una creazione poetica, e quasi per pigrizia si continua a credere che a sbarcare nell'Oliveto "erano trecento",(la verità è che ne sbarcarono 336, sette di essi appena toccata terra si diedero alla fuga, mentre 10 degli imbarcati a Ponza si rifiutarono di seguire Pisacane) che di ribelli ne morirono 82, il poeta è libero di esaltare, il ricercatore ha l'obbligo di non vaneggiare. Chi ha ancora voglia di dire un "requiem" lo reciti per quei 87 sventurati, che con poche armi, ma seguendo gli ideali di Pisacane persero la vita forse anche inconsapevolmente. La mia è stata una esternazione a scopo chiarificatore su vicende e personaggi che spesso vengono utilizzati in forma retorica e leggendaria, euforica e scenografica, offendendo e dissacrando le sofferenze, le amarezze e le delusioni dei soggetti e delle popolazioni che le vissero. Allego: Verbale Sopralluogo Marina dell'Oliveto del Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Salerno, Francesco Saverio Pacifico. Archivio di Stato di SA - Busta 197, pagg.197,198,199. (Prof. Vincenzo Abramo)
Dal 24 ottobre al 11 novembre 1917 avvenne la "disfatta di Caporetto", una battaglia tanto famosa da essere entrata nel linguaggio comune. Gli imperi centrali approfittarono della precedente pausa invernale per arretrare le proprie linee sul fronte occidentale ed allentarle sul fronte orientale, rimanendo in posizione di attesa, osservando gli sviluppi della rivoluzione russa di febbraio e gli orientamenti del nuovo governo. Il 12 maggio 1917 fu intrapresa una nuova offensiva sull'Isonzo, la decima battaglia, che permise alle forze italiane di avanzare il fronte di 4 km e di conquistare importanti posizioni come il monte Kuk nelle pre-Alpi Giulie e il monte Vodice nella zona di Gorizia. Ma vi fu anche un contrattacco austriaco, tra il 4 ed il 6 giugno sulle pendici dell'Hermada le cui perdite ammontarono a 13.524 morti, 73.897 feriti e 24.472 dispersi tra gli italiani; contro i 7.300 morti, 45.000 feriti e 23.400 dispersi tra gli austriaci. Gli imperi centrali avevano già sperimentato, sul fronte russo, la tattica dell'infiltrazione di reparti in un settore prescelto al posto dei massicci e spesso ottusi attacchi frontali su un fronte esteso che caratterizzarono quasi tutta la guerra. Non a caso, alle ore 2:00 del 24 ottobre, dopo aver subìto un cannoneggiamento notturno, le quattro divisioni italiane si trovarono a fronteggiare l'assalto di dieci divisioni nemiche. Due colonne austro-tedesche marciarono nei fondovalle costeggiando l'Isonzo, col favore della nebbia, verso Caporetto: una assai speditamente dalla zona di Tolmino, l'altra con più difficoltà a causa della buona posizione italiana dalla zona di Plezzo. La congiunzione avvenne in serata senza che l'artiglieria italiana fosse riuscita a contrastarne adeguatamente la marcia. L'isolamento dei nostri reparti, tagliati fuori dall'avanzata nemica, impedì che le notizie affluissero con precisione e tempestività ai comandi superiori. In un primo momento si cercò di organizzare una linea di difesa che non resse e che si risolse ordinando la ritirata oltre il Tagliamento. Ma anche questa linea non resse. I ranghi dell'esercito, nel timore di un aggiramento, erano ormai scompaginati lungo tutto il fronte. L'assenza della coercizione, caratteristica del governo militare per tutta la durata della guerra, indusse allo sbando e alla fuga i soldati ormai demotivati mentre il generale Cadorna, spostatosi a Treviso, era troppo lontano dal fronte per poter manovrare, con efficacia, le truppe e l'Italia perse il territorio conquistato nei due anni precedenti. Queste le cifre della "rotta" di Caporetto: 11.000 morti; 29.000 feriti; 280.000 prigionieri che dovettero sopportare sofferenze atroci aggiuntisi agli oltre 30.000 già in mano austriaca; 350.000 soldati allo sbando; 400.000 profughi civili oltre a 800.000 abitanti della regione friulana consegnati per un anno ad un ferreo regime di occupazione e quantità enormi di materiale abbandonato in mano nemica. La disfatta di Caporetto è anche ricordata come 12ª e ultima battaglia dell'Isonzo. Costò il posto del comando supremo al generale Cadorna il cui posto fu preso da Armando Diaz. (Ferruccio Policicchio)
L´angolo della Grande Guerra: i Valorosi di Diamante
Ricorrendo il centenario della traslazione del Milite Ignoto a Roma, nell'altare della Patria (4.11.1021 - 4.11.2021), è parso doveroso ricordare, attraverso Golfonetwork, anche i "Valorosi" del golfo di Policastro-Riviera dei Cedri non solo dei paesi bagnati dal mare ma anche quelli al suo interno.
Il riconoscimento al valor militare veniva assegnato a chi compiva generosi atti di guerra, vagliati da una commissione militare appositamente costituita, ai morti in combattimento o in seguito a ferite. Tali gratificazioni erano suddivise in quattro classi: medaglia d'oro, medaglia d'argento, medaglia di bronzo e croce di guerra al valor militare. Venivano segnalate dalle Supreme Autorità Militari e approvate con Decreto Luogotenenziale, oppure concesse di propria iniziativa (Motu proprio) dal Re. Dette onorificenze potevano essere sostituite con quella immediatamente superiore; argento in oro, bronzo in argento. Delle croci di guerra ordinaria, concesse a tutti i superstiti, alcune furono sostituite in croce di guerra al valore al valor militare, mentre gli encomi solenni in medaglia di bronzo. Il R.D. n. 975 del 15.6.1922 consentì la concessione di medaglie al V.M. a persone viventi già insignite complessivamente di tre medaglie tra oro e argento. Nel primo anno di guerra un gran numero di valorosi fu individuato tra coloro che si offrirono "spontaneamente a portare tubi esplosivi nei reticolati nemici, compiendo l'operazione con molta arditezza e slancio, sotto l'intenso fuoco avversario".
Ing. Nicola Materazzi: Sulla mia F40, solo inesattezze ed omissioni
In un video, titolato "La storia di un'icona:la F40 è stata "l'ultima" di Enzo Ferrari", il giornalista e scrittore cremonese Luca Dal Monte, classe 1963, inopinatamente, non ha nominato il papà della Ferrari F40, cioè l'ing. Nicola Materazzi, che oggi vive da pensionato a Sapri, al quale, in questi ultimi anni, i Comuni di Torraca, Caselle in Pittari e Sapri (Sa) hanno conferito la Cittadinanza Onoraria! Naturalmente, il video ha provocato molti commenti da parte dei numerosi estimatori di Materazzi! Si legge, per citarne alcuni, "Non citare Materazzi è come parlare della Gioconda senza citare Leonardo", e ancora "Non si è parlato di chi ha progettato la F40 e la rifinì dalla targa davanti a quella dietro"! Certo, Luca Dal Monte, dovrebbe chiarire perchè non ha nominato l'Ingegnere Saprese: su Wikipedia, l'Enciclopedia online, lanciata nel 2001 da Jimmy Wales e Larry Sanger, leggo testualmente: "Nicola Materazzi, progettò motore, cambio e altre parti meccaniche della vettura e aveva, in precedenza, disegnato la carrozzeria della 288 GTO Evoluzione, dalla quale la F40 riprende numerosi tratti stilistici"! Ma ascoltiamo l'ingegnere Nicola Materazzi, in questa intervista, da me "confezionata" con il prezioso aiuto di Giuseppe Petrosino. (Tonino Luppino)
Ing. Nicola Materazzi: Sulla mia F40, solo inesattezze ed omissioni www.telearcobaleno1.it
Sabato 23 Ottobre Sapri si ferma per l´Alta Velocità
È l'ora della verità Sapri si ferma per l'Alta Velocità Domani 23 ottobre 2021 Non perdiamo il treno con la storia!
Ci sono dei momenti nella vita in cui non possiamo restarcene fermi. Momenti in cui è d'obbligo rispondere: "Ci sono anch'io". Momenti in cui non si può demandare. Lo impone il nostro dovere civico. Lo reclamano il senso di lealtà e l'amore nei confronti della nostra terra. Lo chiede con forza la nostra coscienza. Lo pretende la storia. Bisogna agire, perché dopo non sarà più possibile. Purtroppo, l'ultimo treno sarà andato via e si potrà imprecare solo per ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare. È proprio così! Se continueremo a restarcene a guardare, sull'uscio di casa, anche domani mattina, se non scenderemo in piazza a protestare contro chi vorrebbe toglierci pure l'aria che respiriamo, saremo responsabili del danno irreparabile che verrà lasciato in eredità alle future generazioni. Ci renderemo complici alla stregua di coloro che non sono stati capaci o che hanno deliberatamente voluto che ciò accadesse. E ci porteremo addosso una colpa così grande da non poter espiare neanche facendo penitenza per il resto della nostra vita. Bisogna alzarsi, uscire di casa, interrompere il lavoro, chiudere ogni saracinesca, partire da ogni contrada e recarsi a SAPRI, DOVE DOMANI MATTINA (SABATO 23 OTTOBRE) SI LOTTA PER LA NOSTRA FERROVIA. Hanno 'depredato' il nostro territorio dei servizi più importanti. Nel corso degli anni, poco alla volta, si sono portati via: l'Enel, la Consac, l'Ufficio del Registro, l'Agenzia delle Entrate, la Pretura, il Giudice di Pace e, persino, le Visite mediche per il riconoscimento dell'Invalidità civile! Nel 1979, per aprire l'Ospedale, che rimaneva inspiegabilmente chiuso da decenni, fu necessaria una sommossa popolare! Le genti di Sapri e dei Comprensori limitrofi sono state costrette a scendere in piazza, per il riconoscimento del DIRITTO ALLA SALUTE sancito dalla Costituzione e dalla Carta Europea per i Diritti del Malato! E l'Ospedale cittadino - nato per essere punto di un'area vastissima - a causa della cronica mancanza di personale, fa fatica a soddisfare la notevole e urgente richiesta di assistenza che giunge dal territorio, costringendo tanti pazienti affetti da importanti patologie a sobbarcarsi il calvario di gravosi 'viaggi della speranza'. La politica, anziché blaterare e farsi rincorrere come una bella dama, dovrebbe, finalmente, assumersi la decisione di coprire i posti scoperti. Qualsiasi azienda, non potrà mai funzionare adeguatamente, se mancano gli "specialisti del settore". Anni fa avevamo una grande Ferrovia, con la stazione di Sapri che rappresentava il bacino naturale dei comprensori del Golfo di Policastro, del Vallo di Diano, dell'Alta Calabria e del Potentino Meridionale; era in funzione perfino una linea di pullman per Castrovillari! Uno scalo di primo livello dotato dei servizi più importanti, nel quale fermavano quasi tutti i treni (98%) circolanti sulla linea da Salerno a Reggio Calabria e per la Sicilia. Centinaia di migliaia le persone che frequentavano la più importante stazione del Basso Cilento. Un via vai di gente: in pratica una vera e propria città che si muoveva nei locali e sui marciapiedi dello scalo ferroviario. Hanno ridotto al lumicino i servizi e saccheggiato i posti di lavoro lungo tutto il tratto ferroviario cilentano. Oggi, a Sapri, fermano solo due treni notturni (rispettivamente per Milano e Torino), nessun intercity diurno a lunga percorrenza e qualche 'freccia'. Il traffico regionale, che avrebbe dovuto compensare i vecchi treni di qualità, presenta dei buchi orari anche di diverse ore: l'ultimo locale serale per Salerno parte alle 22.30; il primo di mattina alle 4.21! Ci hanno lasciato il minimo vitale e vorrebbero toglierci anche quello! Questa volta non possiamo e non dobbiamo permetterlo. L'Alta Velocità non è una pista per far giocare i nipotini, ma la più grande opera mai realizzata nel nostro territorio. L'unica in grado di poterci garantire quel salto di qualità che si auspica e rincorre da decenni. Oltre a riaprire un esercito di cantieri (come avvenne con i finanziamenti del Piano Marshall), è indispensabile per accorciare le distanze e farci, finalmente, integrare pienamente in un'Italia e un'Europa ancora troppo lontane. Sappiamo bene che la lontananza non favorisce il progresso. Nessuno investirà in un territorio difficilmente raggiungibile. Non si avrà mai un turismo di qualità se non ci saranno servizi comodi e veloci. E, purtroppo, le nostre meravigliose terre, non possono contare né su autostrade e né su aeroporti. L'Alta Velocità è stata pensata e finanziata con i Fondi Europei per ridurre il divario tra il Mezzogiorno d'Italia e il resto dell'Europa, per favorire lo sviluppo delle aree più svantaggiate e dare una mano al nostro Pianeta, che contribuiamo a distruggere giorno dopo giorno. Questa grande opera nasce per raggiungere questi obiettivi, non per foraggiare orticelli di piccoli e arroganti notabili che da sempre hanno depredato il nostro povero territorio. Un territorio che ha tutti i titoli e le necessità per candidarsi a fruire di una struttura così importante. Non vogliamo proclamare guerre e divisioni con nessuno, ma gridare con forza che abbiamo gli stessi diritti degli altri. Non si comprende perché l'AV può passare dal Vallo di Diano e dall'Alta Calabria e non dal Golfo di Policastro. Siamo forse un territorio di serie B? Ci sono difficoltà insormontabili da superare? Perché dovremmo accettare supinamente che altri decidano del nostro futuro? Gente che, presumibilmente, non conosce neanche dove si trova Sapri? Lo gridiamo con tanta forza da far giungere la nostra voce a Roma. Se un treno veloce può fermare ad Atena o a Buonabitacolo, un altro può tranquillamente fermare a Sapri. Cosa c'è di tanto strano? Non chiediamo elemosine e favori, ma ciò che spetta di diritto al nostro territorio. E a chi avrebbe ancora la pretesa di voler mettere veti che non gli competono, consigliamo di farsi una bella ripassata delle norme del buon vivere. La nuova linea veloce deve passare per il Golfo di Policastro - prima di proseguire verso Maratea e Praia - per una questione di equità: include più comprensori e divide correttamente i benefici che deriveranno da tale opera; per favorire il turismo che, grazie al dimezzamento delle distanze, potrebbe riservare fantastiche sorprese anche per ciò che riguarda la destagionalizzazione (tempi stimati con l'AV: da Roma a Sapri circa 2 ore e poco più di 300 minuti da Milano!) Considerato che il Golfo di Policastro detiene la media delle giornate più soleggiate anche in autunno, grazie alla facilità del viaggio, sulla costa da Palinuro a Maratea, potremmo avere tantissimi vacanzieri dal Nord Europa, nei cosiddetti periodi morti. L'Alta Velocità deve arrivare anche a Sapri perché non danneggia nessuno e non nuoce alla percorrenza dei treni veloci. Infatti, con il sistema delle fermate alternate (già adottato sulla linea Milano-Napoli) si scongiura il pericolo che le 'frecce' possano fermare ogni pochi chilometri. Abbiamo più volte detto (e lo ribadiamo per i duri di orecchi) che corse e fermate dei Treni AV, per fortuna, non vengono più decise dal 'notabile' di turno, ma dai Vettori che pagano il pedaggio a RFI per fruire di una determinata linea ferroviaria. Pertanto, la questione delle fermate è un'altra bufala alimentata ad arte o per ignoranza per creare confusione. I detrattori del passaggio dell'Alta Velocità da Sapri (peraltro dotata già di stazione idonea per ospitare le fermate di qualsiasi convoglio) sanno bene di aver torto marcio e che possono contare solo sulla confusione. Gli altri punti sono tutti a favore del nostro territorio. Infatti, passare dal Golfo di Policastro significa viaggiare su un tracciato più lineare e con pendenze meno acclivi di quelle previste dal percorso scelto (via Lagonegro), ritenuto dagli stessi progettisti "la parte orograficamente più complessa dell'intero intervento". Non ci danno torto i costi annunciati che si equivarrebbero: poco più di 6 miliardi. Non ci penalizzano i chilometri: in entrambe le proposte risulterebbero circa 128 km. Per passare dal Golfo di Policastro si dovrebbero realizzare solo pochi chilometri di tunnel in più. Presumibilmente, meno di 4.000 metri di galleria, a fronte di tutti i vantaggi già indicati! Crediamo che ci siano sufficienti ragioni per scendere in piazza e alzare democraticamente la voce. Buone ragioni per gridare un poderoso "Vaffa…" ai 'mercanti dei nostri destini' e cominciare a togliere il saluto a quelli che hanno tradito la propria terra. Non perdiamo l'ultimo treno. Sosteniamo il 'Comitato civico 1987' per difendere la nostra Ferrovia! Domani mattina, dalle ore 9, tutti in Villa Comunale. (Mario Fortunato)
Candidatura per una «Spigolatrice» differente: Angelamaria Viggiano
È risaputo che Luigi Mercantini, per esaltare la sfortunata impresa tentata da Carlo Pisacane contro la tirannia del Borbone, diede voce ad una giovane contadina, la spigolatrice, perché proprio nel periodo in cui avvenne la spedizione, fine giugno, viene effettuata la mietitura del grano. A chi soffre di nostalgia borbonica, invece, piace che la spigolatrice sia identificata in una donna che esercitava la prostituzione. Lo scrivente, che tale infermità non avverte, anche per far conoscere l'indole e l'inclinazione di Carlo Pisacane, segnala, esibendone il documento, un episodio avvenuto a Torraca il 29.6.1857 quando due ignoti della "banda dei rivoltosi" rubarono sette ducati e venti grana contanti a Carmine Viggiano fu Pietro. L'episodio venne immediatamente divulgato e, commessa l'eccedenza, legittimamente, fu aperto un fascicolo. Il giorno 8 settembre 1857 a Francesco Pacifico, Procuratore Generale del Re presso la Gran Corte Criminale di Salerno, portatosi in Torraca, il derubato, conosciuto come "persona dabbene ed incapace di ideare furti e di riferire cose non vere alla giustizia", a.d.r.: (si trascrive parte del verbale allegato per agevolarne l'eventuale lettura)
[…] nel giorno 29 giugno ultimo arrivò in questo comune l'orda di circa 300 rivoltosi sbarcati in Sapri, quasi tutti armati di fucile ed altre armi bianche, che si divisero in più parti del paese, e buona parte di essi si accampò in questa piazza: nel rincontro io mi trovavo in casa con la mia famiglia, quando vennero quivi due di que' ribaldi, uno più alto e snello e l'altro più basso e con barba / Che appena giunti in mia casa armati entrambi di fucile a due colpi, mi imposero di consegnar loro tutte le armi che avessi avuto, ed alla mia risposta di non averne, immantinente frugarono e diligenziarono tutta la mia casa, aprendo le casse, ed armadi che vi si trovavano: indi mi appuntarono due coltelli a molla, con la lamina a fronda d'olivo, ed avendomi rovistato anche sulla persona, mi tolsero sei piastre che tenevo in tasca, lasciandone altre tre, forse perché commossi a' pianti della mia famiglia; e dopo consumato tal furto ed assicuratisi che non tenevo nessun schioppo, se ne andarono via. Non vi taccio che mia figlia Angelamaria Viggiano uscì subito di casa, si portò ad intercedere presso il loro sedicente Generale, di cui ignoro il nome, e che commosso a' pianti della stessa, le fece riconoscere i ladri, e trovandone uno, lo fece perquisire sulla persona, e l'obbligò a restituire tre piastre che aveva addosso: l'altro ladro non fu ravvisato, e perciò lo stesso Generale di sue monete diede carlini diciotto a mia figlia. […]
Interrogata Angelamaria, di anni 25, contadina, e questa sì che poteva essere una spigolatrice anche perché andò a "raccogliere" il suo denaro, a.d.r.:
[…] dopo il furto consumato a danno di mio padre essa si portò a dolersene presso uno de' rivoltosi, il quale avendomi fatto conoscere uno di quelli che commisero il furto, lo fece rovistare, e trovatogli in tasca tre piastre, me le fece restituire, ed indi di sua borsa mi dette due monete d'argento, una di carlini dieci e l'altra di carlini sei […].
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