Le polemiche planetarie suscitate dalla Statua della Spigolatrice di Sapri e il conseguente profluvio di parole, sono la testimonianza della superficialità in cui è precipitata la società del XXI secolo. Un'opera d'arte è soggetta alla fantasia dell'autore, eccezion fatta dinanzi a persone realmente vissute. Ma ciò che desta maggiore preoccupazione è la vuota retorica degli autorevoli precettori intervenuti. Nessuno di essi si è mai indignato dinanzi alla Statua di Padre Pio, leggendo la storpiatura del nome di Pietrelcina, la ridente località sannita che ha dato i natali al Santo, sovente e senza distinguo trasformata in "Pietralcina". E nessuno -tra giornalisti, scrittori, sedicenti intellettuali, profeti dell'ovvio e smunti habitué dei salotti televisivi- ha mai sollevato rilievi e obiezioni al cospetto della violenza perennemente perpetrata ai danni dell'avverbio "piuttosto", che con orripilante intercalare viene utilizzato con il significato disgiuntivo. Un fenomeno che ha origini nel lessico settentrionale e ben presto è stato adottato dai salamelecchi in servizio permanente effettivo, ignari che l'unico uso corretto dell'avverbio "piuttosto" è avversativo. Ergo, se c'è un appunto da fare all'artista è l'assenza del simbolo di una spigolatrice: le spighe di grano. Un tratto di matita rossa, inoltre, agli organizzatori per aver parlato impropriamente di svelatura, mentre per una scultura da inaugurare il termine appropriato è scoprimento. Si può parlare di un'opera bella, brutta, ammiccante, non aderente al mondo contadino risorgimentale, ma obiettivamente, che alla sommatoria di ignoranze e di interventi insulsi -addirittura fino alla Cnn- si aggiungano le scomposte e patetiche argomentazioni di chi paventa un subliminale messaggio sessista, fa sprofondare la questione in una ennesima, puerile, sterile ed insipiente discussione. (Pasquale Scaldaferri) Pasquale Scaldaferri
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