Ci sono 9324 News in 933 pagine e voi siete nella pagina numero 279
Dorothy Dream Day 2021: contest fotografico
"La fotografia può fissare l'eternità per un attimo". Il tema del contest del Dorothy 2021 Per il settimo anno consecutivo lo staff del "Dorothy Dream Day" indìce un contest fotografico legato al ricordo della giovane artista di Policastro Bussentino, Maria Dorotea Di Sia, morta tragicamente il 13 maggio del 2014. Il tema di quest'anno è "La fotografia può fissare l'eternità per un attimo". "Il denominatore comune di tutte le foto è il tempo. Il tempo che scivola via tra le dita, tra gli occhi. Il tempo delle cose, della gente. Il tempo delle luci e delle emozioni. Un tempo che non sarà mai più lo stesso". I partecipanti dovranno raccontare, attraverso la fotografia, ciò che questo tema ispira. La partecipazione al contest è gratuita, aperta a tutti gli amanti della fotografia, non professionisti e senza limiti d'età. Ciascun partecipante potrà inviare, entro le ore 12.00 di giovedì 8 luglio 2021, una sola immagine corredata da nome e cognome e contatto telefonico dell'autore/autrice, sia tramite email all'indirizzo doroty-dream@hotmail.com che in posta privata nella pagina Facebook del "Dorothy Dream". La premiazione dei vincitori del contest si terrà sabato 10 luglio 2021 a Casa Stella (San Giovanni a Piro) nel corso del Dorothy 2021. (Vito Sansone)
PROCLAMAZIONE DEL LUTTO CITTADINO PER OGGI 16 GIUGNO 2021 Il 10 giugno è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari Biagio Iaria, mentre lavorava in un cantiere navale ad Ostia. I funerali del compianto Biagio, si sono svolti oggi, mercoledì 16/06/2021, alle ore 18,30 a piazza Europa, dinanzi alla Chiesa del Rosario. Questa tragedia ha suscitato profonda e straordinaria emozione in tutta la cittadinanza. La morte sul lavoro è un dramma dell’intera collettività. Non ci sono aggettivi adeguati per commentare questo modo atroce di morire. Si è verificato ciò che non dovrebbe mai accadere sul posto di lavoro, dove le persone si recano per guadagnarsi il pane col sudore e la fatica per costruire un futuro sereno e più sicuro per sé e per i propri figli. Tutte le morti sono brutte, ma quelle occorse sul lavoro sono ancora più tragiche. Non dobbiamo rassegnarci a queste morti, non dobbiamo abbassare l’attenzione di fronte a queste tragedie. Ogni volta che una persona muore mentre sta lavorando, dobbiamo sentirci coinvolti, ciascuno secondo le proprie responsabilità perché nulla avviene per caso. Dobbiamo, con forza, riaffermare che bisogna essere attenti alle norme stabilite e osservarle tutti, dal primo dirigente all’ultimo lavoratore. Tutti dobbiamo porre al centro della nostra attenzione la dignità e la salute di chi lavora, e deve crescere molto di più di quanto accada ora la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro. La salute e la vita dei lavoratori, come di tutte le persone, sono valori primari, che per nessuna ragione dovrebbero essere messi a rischio. Questo in concreto significa che i diritti dei lavoratori, come il diritto ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla salute fisica e specialmente alla loro vita, si basano sulla natura della persona umana e sulla sua dignità. Opportuno e doveroso, interpretando anche il comune sentimento della popolazione, proclamare il lutto cittadino per il giorno 16/06/2021, per l’intera durata della cerimonia funebre, per stigmatizzare il disdegno per una nuova ingiusta “morte bianca” in segno di profondo rispetto e di partecipazione al dolore della famiglia del defunto, ed al fine di consentire iniziative di riflessione e di partecipazione alle esequie per la scomparsa di un nostro concittadino mentre stava effettuando la sua attività lavorativa, nella consapevolezza che le morti sul lavoro sono tragedie che non trovano alcuna giustificazione. Il Sindaco Daniele Stoppelli (Comune di Maratea)
Pisacane proibito (Parte Seconda) - di Edoardo Vitale
Fare clic sull'immagine per ingrandire
È bastato ragionare su Carlo Pisacane partendo da fatti riferiti da storici liberali e da dichiarazioni dello stesso rivoluzionario o di chi condivideva le sue battaglie antiborboniche per scatenare l'accusa di aver (addirittura!) fatto partire una "macchina del fango". Addebito paradossale, ove si consideri che l'unica vera macchina da 160 anni funzionante a pieno regime, quasi sempre col denaro pubblico, è quella, mastodontica, che distribuisce (fra l'altro) patenti di eroismo civile a chi assecondava i disegni dei rivoluzionari del tempo e di infamia subumana a chi vi si opponeva in qualsiasi modo, sorvolando sugli aspetti "scomodi" del cosiddetto risorgimento e verniciando di retorica azioni che non sempre lo meritano. Noi vogliamo riflettere pacatamente anche sull'avventura di Pisacane, senza trascurarne i lati oscuri. E continueremo a farlo perché sentiamo la ricerca della verità e la difesa della libertà di espressione come doveri civici fondamentali. Né questo può mai far venir meno il rispetto e la comprensione: di cui avrebbe grande bisogno una storia non avvelenata dall'odio. Ma sappiamo che questa regola così elementare non è condivisa da chi divide personaggi antichi e attuali in angeli e demoni, secondo un criterio di convenienza ispirato a finalità a volte non confessabili, non solo politiche. Procediamo, dunque, nella nostra disamina, osservando come, man mano che la traiettoria di vita di Carlo Pisacane si avvicina al suo sanguinoso epilogo, cresca un sentimento di malinconia e di raccapriccio per una giovane esistenza lanciata verso il sacrificio. Ma anche per le altre vite che, direttamente o indirettamente, saranno travolte da questo slancio. Nel suo febbrile peregrinare, Pisacane non si rammarica di aver abbandonato gli agi legati all'ambiente familiare, però la disponibilità economica e le amicizie influenti della sua famiglia altolocata gli tornano utili molto spesso. Intanto, è il fratello "borbonico" che lo aiuta a tornare in Italia. Aiuto discutibile, visto che non gli serve per riprendere la carriera nell'esercito napoletano, come lasciava supporre la sua lettera in cui implorava il perdono di Re Ferdinando II, ma per combattere i suoi ex commilitoni. Un'altra bella spinta nella stessa direzione gli viene dal colonnello francese Mellinet, evidentemente anch'egli sensibilizzato grazie all'influenza familiare, che lo aiuta a lasciare la Legione Straniera. Infatti il servizio in Algeria, divenuto tranquillo essendo stata stroncata la guerriglia patriottica di Abd-el-Kader, ormai lo annoiava a morte. Nel frattempo, il 16 febbraio 1848, mentre militava in Africa, gli era morta la figlia Carolina. Nel marzo di quello stesso anno riabbraccia Enrichetta che gli dà forza per affrontare i nuovi cimenti e lo segue a Milano. Lì si arruola nell'esercito lombardo e con la sua compagnia ha uno scontro vittorioso con gli austriaci. Rimane ferito, ma la sua donna gli è vicina. Si sposta a Lugano e poi in Piemonte. L'8 marzo del 1849, passando per Livorno, la coppia arriva a Roma per dare una mano al governo repubblicano. Lui da combattente, lei da infermiera.
Fare clic sull'immagine per ingrandire
Il fratello Filippo rischia lo scontro armato con lui quando, a Velletri, come componente della cavalleria napoletana, se lo trova di fronte quale capo di stato maggiore dell'esercito romano comandato dal generale Pietro Roselli. Si trattava di una guerra la cui violenza era accresciuta dall'odio ideologico, dobbiamo dire soprattutto da parte dei "liberali". Lo stesso Roselli, nelle sue Memorie relative alla spedizione e combattimento di Velletri avvenuto il 19 maggio 1849, racconta come alcuni soldati napoletani e siciliani, catturati mentre si ritiravano a Velletri e ormai inermi, furono presi a colpi di baionetta dai repubblicani, i quali, rimproverandoli per non essersi schierati contro "la comune patria", parecchi ne uccisero e parecchi ne ferirono gravemente. Condotta contraria all'umanità e all'onor militare, che non è escluso abbia colpito anche qualcuno che era stato commilitone di Carlo Pisacane nell'esercito regio. Così si comportavano i nuovi compagni d'arme dell'ex alfiere di Ferdinando II, re da lui definito "vile tiranno", di cui però, soltanto un anno e mezzo prima (lettera del 6 novembre 1847), implorava "come Suddito" la "Sovrana Clemenza". Va aggiunto che durante la guerra per Roma Carlo Pisacane entra in contrasto con Giuseppe Garibaldi, insofferente alla disciplina organizzativa che egli, come capo di S.M., intendeva imprimere all'armata repubblicana. Dopo che i francesi hanno rovesciato la Repubblica e riportato a Roma il Papa, è arrestato e poco dopo liberato, grazie, questa volta, all'interessamento della famiglia di Enrichetta. Riprende il suo peregrinare seguendo le vie dell'esilio dei rivoluzionari: Marsiglia (viaggiando insieme col liberale cilentano Antonio Galotti), Ginevra e Svizzera (via Germania e Prussia), Londra. In Inghilterra è accolto come eroe. Segue Genova, ove alloggia in una casa di collina dotata di ricca biblioteca, fa ginnastica e irrobustisce le sue convinzioni socialiste. Lì incontra altri esuli cilentani. Il 28 novembre 1852 nasce sua figlia Silvia, che non fa battezzare. La nascita è nascosta ai parenti della madre. Nel 1854 muore il patrigno di Carlo, generale Tarallo, che gli faceva avere una somma ogni mese. Vive quindi poveramente. Nel 1856 trova lavoro collaborando a costruire la ferrovia di Mondovì. Sempre in quell'anno fonda il periodico La libera Parola. Insomma, una vita incredibile, sempre in movimento, tra pericoli, viaggi, incontri straordinari. In cui vi sono alcune costanti. Innanzitutto, l'odio e il disprezzo per i regimi conservatori e per i valori della società tradizionale. Poi la convinzione che qualsiasi mezzo vada adoperato per abbatterli. Rimprovera al generale francese Oudinot di aver negato il bombardamento della città di Roma, proprio in quanto riconosce che sarebbe stato suo diritto ricorrervi. Un'altra costante è l'inserimento in una immensa rete di solidarietà, che si irradia dalle capitali delle potenze imperialistiche di matrice liberale, Londra e Parigi, alle irrequiete Genova e Marsiglia, a Malta; dall'ospitale Svizzera, ai centri italiani di transito e partenza di esuli e congiurati, come Livorno e Civitavecchia. Addirittura in Algeria, nella Legione Straniera, in mezzo a "molti spostati turbolenti", abbondano gli esuli politici. Un imponente movimento internazionale, in cui anche i più accesi nazionalisti sono legati da una solidarietà che trascende di gran lunga le proprie identità, in quanto nasce dall'avversione irriducibile contro l'ordine tradizionale. Cui non si riconosce alcun aspetto positivo e che è visto come una mostruosità da abbattere. Anzi, va sottolineato che quando vi sono popoli che nella ricerca della libertà e dell'indipendenza si battono contro le potenze capitalistiche e liberali, i sovversivi di quel tempo non esitano a schierarsi con queste ultime. È il caso appunto di Carlo Pisacane che in Algeria si arruola fra i mercenari della Légion Étrangère per combattere gli indipendentisti guidati da Abd-el-Kader, considerato il padre della patria algerina. Analoga scelta di campo, del resto, aveva fatto in Sud America Giuseppe Garibaldi; strenuo difensore degli interessi britannici.
Fare clic sull'immagine per ingrandire
Questi legami si concretizzano in una formidabile struttura organizzativa, che con efficacia e rapidità procura alloggi, denaro, passaporti falsi, armi. In una lettera del giugno 1856 a Giuseppe Fanelli, colui che fa conoscere a Bakunin il pensiero rivoluzionario di Pisacane, questi dice chiaramente che "non sarebbe difficile trovar danaro" per una spedizione nel Napoletano, a condizione di spiegarne bene l'utilizzo a chi lo può fornire. Infatti, aggiungiamo noi, chi dispone di ingenti somme di denaro le elargisce soltanto quando è sufficientemente sicuro che vengano impiegate per un obiettivo a lui vantaggioso. Le maglie di questa rete che attraversa i confini di tutti gli stati si infittisce per la sovrapposizione di un'altra rete, pure importante ed efficace, quella della solidarietà familiare e di ceto (nobiltà e ricca borghesia). Gli entourages di Carlo ed Enrichetta riescono a contattare ambasciatori, funzionari, ufficiali napoletani e stranieri, e a far pervenire ai loro protetti risorse economiche, anche se non sempre con la necessaria continuità. In ogni caso, il fatto che aiutarli significasse spesso oggettivamente facilitare azioni aggressive e violente nei confronti del Regno delle Due Sicilie e potenzialmente rischiosissime anche per i diretti interessati non sembra sia stato un problema per nessuno, a cominciare dall'amato fratello, Filippo, personalmente rimasto fedele alla monarchia. Intanto, si va consolidando in lui la convinzione che per realizzare il "risorgimento italiano" non ci si debba affidare a prìncipi o a partiti, dovendosi piuttosto ottenere l'appoggio di tutta la nazione. Un'eventuale vittoria di Luciano Murat renderebbe il Regno delle Due Sicilie "una provincia della Francia". Mentre se la spada della liberazione d'Italia fosse brandita da Vittorio Emanuele di Savoia si cadrebbe in "una nuova catastrofe": "Il volgo accetta il linguaggio dei fatti, e non ragiona sull'avvenire: vedendo cacciato il Bomba, proclamata una nuova dinastia, si sottometterà molto più volentieri a chi gli promette immediata tranquillità, che a noi che dichiariamo guerra all'Austria" (lettera a Fanelli del 15 settembre 1856). Invece, partendo dal territorio più vasto, quindi dal regno del Sud, occorre che un gruppo di patrioti, anche esiguo, infligga un colpo terribile alla monarchia borbonica, mediante una spedizione che infonda nelle popolazioni il coraggio di rovesciare la tirannia di Ferdinando II. Mazzini è ovviamente coinvolto e altrettanto il comitato insurrezionale napoletano, di cui è parte l'amico Giuseppe Fanelli. La rete sovversiva comincia a sprizzare scintille nell'asse Londra, Genova, Napoli, Malta (lettera del 16 aprile 1856 a Fanelli). Garibaldi, in un primo tempo d'accordo sulla necessità di una spedizione, si tira indietro. Per lui, senza l'appoggio del governo piemontese non si fa nulla. Sarà coerente quattro anni dopo, quando quell'appoggio se lo assicurerà ben prima di salpare da Quarto. Il cambio di regime nelle Due Sicilie non agita i pensieri di chi lavora nelle campagne o nelle fabbriche, ma costituisce un appetibile obiettivo nelle stanze più o meno segrete dei congiurati liberali e nelle sfarzose sale del potere capitalista e imperialista. Carlo Pisacane si compiace del fatto che Lord Palmerston garantisce il non intervento inglese nel caso di instaurazione a Napoli di un governo repubblicano (lettera a Fanelli del 24 marzo 1857). Quindi di questa congiura era stato informato il primo ministro britannico, che dimostra di vederla di buon occhio! Si confermano l'efficienza della rete e l'albionica coerenza nell'appoggio alla pirateria contro le comunità da sottomettere.
Fare clic sull'immagine per ingrandire
Pisacane ormai è lanciato come la locomotiva di Guccini e Mazzini lo sprona, mentre gli esuli cilentani a Genova lo sconsigliano. Secondo il liberale moderato Mazziotti, l'impresa fu "una follia commessa contro il parere di tutti e all'insaputa di tutti; ma è stata una magnanima follia" (lettera di Mazziotti a Francesco De Siervo del 26 luglio 1857). Precisa Carmine Pinto che Mazzini e Pisacane ebbero contro il parere di tutti i nazionalisti radicali, come Garibaldi, Bertani, Saffi, Medici, degli esuli meridionali più influenti, come Cosenz, Conforti, Crispi e Musolino, e dei liberali in carcere nel Sud, come Spaventa o Settembrini. Tutti consideravano folle un tentativo del genere, la cui disorganizzazione era evidente. Come luogo dello sbarco pensa in un primo tempo a Palinuro, poi sceglie Sapri. Di là ci si dirigerà ad Auletta, per formare "massa". Il rivoluzionario Pisacane sa fare tesoro dell'esperienza del cardinale Ruffo nella riconquista antifrancese del 1799. Il suo desiderio è che si pugnalino tutti gli appartenenti alla polizia e al "partito regio". Stila un Proclama per l'esercito, promettendo ai militari, oltre a "uno splendido avvenire", "un'agiata ed onorata esistenza" e l'elezione degli ufficiali da parte della truppa. Il 4 giugno 1857 si riuniscono a Genova Giuseppe Mazzini, Carlo Pisacane, Agostino Castelli, Giovanni Nicotera di Sambiase (Lametia Terme), pare entrato su consiglio di Cavour (!), Giambattista Falcone di Acri (Cosenza), i tarantini Vincenzo Carbonelli e Nicola Mignogna, Rosolino Pilo di Palermo e il napoletano Enrico Cosenz. Si decide di partire il 10 perché i "postali" per Cagliari e Tunisi della Rubattino partono da Genova ogni mese il 10 e il 25. Pisacane infatti ha già contattato la Rubattino, favorito dal fatto che a Napoli ne era rappresentante Carlo Di Lorenzo, padre della sua amata. Si raggiunge un accordo nel senso che a Pisacane sarà consegnato il piroscafo Cagliari, a condizione che la società di navigazione non ne risulti compromessa. Si pongono le basi per la commedia che si consumerà a bordo del natante, stucchevole precedente di quella, analoga, che si replicherà nel maggio 1860 sul Piemonte e sul Lombardo. "Impadronitisi" del vapore, secondo un copione su cui sorvoliamo per non offendere l'intelligenza dei lettori, i sovversivi saranno raggiunti in alto mare da Rosolino Pilo con una goletta carica di armi; quindi andranno a Ponza dove libereranno i carcerati e li porteranno con sé a Sapri per dare inizio alla rivolta. Accade però che la barca di Pilo finisce in una tempesta e l'equipaggio è costretto a gettare le armi a mare. La partenza è rimandata. Carlo Pisacane, allora, con audacia (era un condannato per diserzione) si imbarca su un "postale" di linea e da Genova raggiunge Napoli, da cui è assente da oltre un decennio. Deve avvisare il comitato partenopeo del rinvio dell'impresa. Incontra Fanelli e gli altri e, dopo un momento di avvilimento, riprende entusiasmo. La spedizione partirà, secondo il calendario della Rubattino, nella nuova data del 25 giugno! Da Genova, informa Fanelli che "il materiale" è stato "rimpiazzato". Gli manda poi una lettera di istruzioni, che però arriverà a Napoli in ritardo. Scrive il suo Testamento politico e lo consegna alla giornalista inglese Jessie White. Il mazziniano Adriano Lemmi, denominato il "banchiere del risorgimento", gli consegna ventiduemila lire. Come riferisce il Galzerano, "mille sterline sono raccolte a Londra da Emily Hawkes, diciassettemila franchi da Mazzini e a Genova sono raccolti altri milleduecento franchi da Casimiro De Lieto e da altri. Di denaro ne verrà consumato molto: quasi in ogni lettera a Fanelli si fa riferimento ad ingenti somme che gli vengono spedite." La figura di De Lieto è emblematica: apparteneva a una famiglia di commercianti liberali e filofrancesi; fuggito a Londra dopo il fallimento dei moti del 1821, vi rimase oltre dieci anni; nel 1847 fu promotore di una rivolta in Calabria; condannato a morte e poi, su richiesta della moglie (figlia di un ricco commerciante genovese), graziato dal re Ferdinando II. Con l'amnistia concessa dallo stesso "tiranno", nel gennaio 1848, riacquistò la libertà, mostrando la sua riconoscenza col partecipare attivamente alla sanguinosa giornata antimonarchica del 15 maggio 1848. Continuò da Reggio a ordire sommosse, finché non decise di emigrare, prima in Toscana, poi a Genova, sempre garantendo la sua partecipazione e il suo sostegno finanziario alla rivoluzione liberale. La rete, che pullula di ricchissimi notabili, ha deciso che vale la pena di investire un po' delle sue immense risorse in questa spedizione che, per quanto azzardata, potrà quanto meno costituire una prova generale del prossimo assalto e nel caso di malaugurato fallimento, infoltire il pantheon degli eroi della rivoluzione. Lo spazio di un articolo non consente di ripercorrere nei dettagli la spedizione di Sapri. Mi limito ai fatti salienti e a qualche considerazione. Il 25 giugno, al tramonto, l'imbarco di Genova è gremito. Tutti fingono di non conoscersi, ma fino a un certo punto, perché, "sfidando la polizia", ma non certo i pericoli dell'impresa, è venuto a salutare i partenti un tale Giuseppe Mazzini. Enrichetta, da parte sua, doveva rimanere a Genova per essere utile nei moti che vi si prevedevano imminenti. Sorvolo, come preannunciato, sulla messinscena del dirottamento, accompagnato da una "nobile" dichiarazione con cui si scagiona l'equipaggio da ogni colpa. I protagonisti presenti sul vascello sono in tutto 25, di cui sette genovesi, tre anconetani, un orvietano, ecc. Il piroscafo issa la bandiera rossa, segnale non di rivoluzione, ma di avaria alle macchine; altri - forse incoraggiati dalla poesia di Mercantini - dicono il tricolore, ma sarebbe stato stupido attirare l'attenzione. Poco plausibile - ma in ogni caso altamente significativo - quello che dichiara il console inglese a Napoli, ossia che fino a Ponza il piroscafo batté bandiera inglese. Nemmeno stavolta Rosolino Pilo riesce a portargli le armi, ma niente paura: nella stiva del Cagliari - che combinazione! - ce n'è un grosso carico. Sbarcati a Ponza, i quattro che vanno ad aiutare la nave in avaria, fra cui il Comandante di porto, vengono presi in ostaggio. Pisacane allora sbarca, assale il posto di guardia e libera i detenuti. Per occupare la torre ove alloggiavano le truppe e le famiglie degli ufficiali, i suoi uomini uccidono un giovane tenente, Cesare Balsamo, che, facendo fino in fondo il suo dovere, si oppone agli invasori con la sciabola sguainata. A noi il compito di trarlo per sempre dall'anonimato in cui la storiografia liberale lo ha relegato, e segnalarlo all'amorevole ricordo della nostra gente.
Fare clic sull'immagine per ingrandire
La stragrande maggioranza dei detenuti liberati erano delinquenti comuni. Ernesto Maria Pisacane, discendente di Carlo e grande conoscitore delle vicende del suo avo, ha affermato che la liberazione dei detenuti comuni fu un errore. Io ritengo che si colleghi a una strategia comune a tutte le rivoluzioni senza popolo. In mancanza di sostegno popolare - o meglio, avendo tra i propri sostenitori quasi esclusivamente nobili imborghesiti, possidenti, notabili, con l'aggiunta di chi dipende da loro e non può dire loro di no, mentre i ceti meno abbienti rimangono estranei od ostili ai progetti di rovesciamento dei regimi tradizionali - diventa indispensabile aprire le carceri. Solo così si può portare il gruppo dei rivoltosi a un'entità numerica tale da poter sfidare i difensori dello status quo. Garibaldi fece altrettanto e, anzi, si assicurò l'alleanza dei picciotti in Sicilia e della camorra a Napoli. Sta di fatto che i carcerati fatti evadere erano molti di più dei 323 che salirono sul Cagliari. Si può immaginare che cosa possono aver fatto gli altri rimasti a Ponza, prima che le truppe delle Due Sicilie, dopo l'encomiabile viaggio in barca fatto da alcuni volenterosi a Gaeta per avvertire le autorità, ristabilissero l'ordine nell'isola. Partiti da Ponza all'alba del 28 giugno, i sovversivi arrivano a Sapri nel tardo pomeriggio dello stesso giorno. Durante il viaggio Pisacane avrà avuto il suo daffare a indottrinare rapidamente i detenuti comuni, e a rincuorare tutti con false notizie circa le migliaia di insorgenti che li aspettavano per unirsi a loro (duemila già a Sapri!) e la certa insurrezione di Napoli. Quando gli invasori sbarcano, dei duemila compagni di sommossa non c'è traccia. Anche perché da mesi lo stato maggiore rivoluzionario del Principato Citra era stato arrestato, compreso Giovanni Matina, l'ideatore del piano d'azione fatto proprio da Pisacane. Il grido lanciato nella notte, "L'Italia agli italiani!" non riceve nessuna risposta. Il Cagliari riparte e viene subito sequestrato dalla marina borbonica, che ovviamente arresta l'equipaggio. Giunto nella sua terra, Carlo Pisacane, sebbene convinto che la proprietà sia un furto, va innanzitutto a cercare un ricco barone della zona, liberale fra i protagonisti e i finanziatori (con 1000 ducati d'oro) del 1848, Giovanni Gallotti, per ottenere denaro e aiuto. Ma quando bussa alla sua porta, portando con sé una guardia doganale fatta prigioniera, non lo trova, e i familiari gli dicono di non volere essere coinvolti nella sua azione. Nicotera e Falcone, intanto, con un'altra squadra di "patrioti", vanno a cercare il prete Vincenzo Peluso per ucciderlo e vendicare, così, la morte di Costabile Carducci. Non avendolo trovato, si limitano ad appiccare il fuoco al portone e a prendere a colpi di scure le porte. A Sapri, in un "immenso deserto di indifferenza", trova solo le vane promesse di un altro esponente della famiglia Gallotti, il sacerdote Filomeno, fratello di Giovanni, e l'adesione del loro domestico Mansueto Brandi. Liberano tre carcerati e si recano a Torraca, preceduti dal Brandi che cerca in ogni modo di tranquillizzare la gente, intenta a festeggiare i Santi Pietro e Paolo alla presenza del vescovo. Pisacane legge in piazza un proclama, in cui, preso atto della freddezza della popolazione, per convincere la gente a rischiare la vita con lui prospetta un'inesistente adesione dell'esercito alla sua azione e l'imminente insorgenza prima delle province e poi della capitale. Aderisce solo un taverniere, tale Vincenzo Cioffi, che rifocilla i rivoluzionari. Viene abbattuto il palo del telegrafo, e intanto alcuni galeotti riprendono a fare il loro mestiere. La banda prosegue per Padula; a Casalbuono Pisacane va a cercare non una famiglia di oppressi, ma un altro barone, De Stefano. A Casalbuono si verifica un terribile episodio: un seguace di Pisacane, Eusebio Bucci, prende del pane dalla commerciante Giulia Novellino pagandolo 16 anziché 36 grana. Pisacane dà la differenza e lo sottopone a un "consiglio di guerra", che lo giudica colpevole e lo condanna alla fucilazione, immediatamente eseguita. Delle due l'una: o il racconto è infedele, nel senso che Bucci fece qualcosa di ben più grave che pagare meno del dovuto, il che conferma la pessima moralità di molti improvvisati sovversivi, oppure la reazione dei sodali di Pisacane fu di una crudeltà assolutamente sproporzionata. Quindi la versione "edificante" riportata dagli storici liberali fa acqua da tutte le parti. A Padula, come al solito, si rivolgono al barone del luogo, Ferdinando Romano, che li ospita. Il paese, sguarnito di truppe, era deserto: gli uomini al lavoro nei campi e i galantuomini chiusi nelle case. Pisacane riesce a incontrare solo un gruppetto di "galantuomini" e qualche prete. Comunque la caserma viene assaltata, carte e registri vengono bruciati, le guardie urbane disarmate, stemmi e immagini del re distrutte. Il mattino del 1° luglio arrivano i soldati delle Due Sicilie, al comando del colonnello Ghio. Al di là delle versioni agiografiche, che disperatamente cercano di saturare i colori per angelicare i rivoltosi e demonizzare i difensori, aggiungendo presunte frasi edificanti dei rivoluzionari o raccapriccianti particolari della repressione, sta di fatto che chi si introduce nel territorio di uno Stato per rovesciarne il governo non può aspettarsi di essere accolto col tappeto rosso. E questo certamente non si aspettava Pisacane, che da militare era ben consapevole del rischio legato ad ogni azione di forza. Proprio lui che aveva riconosciuto al suo nemico Oudinot il diritto di bombardare Roma! Solo la faziosità ideologica può negare la legittimità dell'intervento di chi, come il tenente Balsamo a Ponza, è obbligato a difendere le istituzioni per le quali opera. E qui erano in gioco anche l'ordine e l'incolumità pubblica, in quanto coloro che sbarcavano, in armi, erano in gran parte delinquenti comuni, in molti casi desiderosi di tornare a operare nella loro provincia natìa, ed erano spesso conosciuti dalla gente, che ne aveva giustamente paura. E il fatto che la popolazione, rischiando la vita, aiuti la polizia a debellare una banda armata composta in gran parte da uomini con l'abito da reclusi, non può che essere lodato da chi non è affetto da cieco pregiudizio. Se vi sono stati episodi di ferocia, sono senz'altro da condannare, ma l'essenza dell'evento è questa. Sulle circostanze in cui Pisacane ha trovato la morte le versioni sono molte e l'individuazione di quella vera trascende di molto le finalità di questo articolo. Le raffigurazioni apologetiche della morte di Pisacane lo vedono nell'atto di soccombere, armato, a popolani e gendarmi; eppure si afferma che egli e i suoi fossero, se non disarmati, già praticamente inermi. Tuttavia non risulta che si fossero arresi, né che avessero deposto le armi. La tesi del suicidio di Pisacane, pure prospettata (anche dall'Enciclopedia Treccani), è oggi minoritaria. E poco si armonizza con la sua indole combattiva che abbiamo imparato a conoscere.
Fare clic sull'immagine per ingrandire
La versione del sotto-capo urbano Sabino Laveglia nel suo rapporto sui fatti di Sanza è che i sovversivi avanzavano sparando. La sua testimonianza è poco utile, essendo egli fortemente interessato a sopravvalutare la pericolosità dei propri avversari. La versione maggiormente celebrativa recita che alle prime fucilate sessanta rivoltosi si danno a fuga precipitosa e sventolano pezze bianche in segno di resa, mentre Nicotera cerca invano di farli desistere. E che, viceversa, la trentina di uomini rimasti con Pisacane avrebbe voluto reagire all'assalto dei paesani e dei gendarmi, ma qui interviene la frase esemplare attribuita a Carlo in punto di morte: "Non si versa mai sangue fraterno!". Quand'anche ci si volesse attenere a questa versione, sembrerebbe molto improbabile che le parole di Pisacane, ammesso che siano state pronunciate, avessero indotto tutti i compagni a dare chiari segni di resa. Ed è difficile fermare una folla inferocita ed eccitata nel momento dello scontro. In verità, se dell'attendibilità di Laveglia si può legittimamente dubitare, altrettanto inaffidabile è la testimonianza del giudice Gaetano Fischetti, il quale avalla la tesi dell'assassinio di persone inoffensive che si erano già arrese: egli, infatti, racconta i fatti in pieno regime sabaudo, e ci sarebbe voluto un coraggio da leone per contraddire la versione data da Nicotera al processo. Invece la santificazione di Pisacane è molto opportuna per un funzionario che ha fatto carriera nel regime borbonico e manifestato compiacimento per l'esito dello scontro di Padula, e ora deve riconquistare la fiducia dei nuovi governanti. Altre versioni circolano dell'uccisione di Pisacane. Come quella del gendarme Gaetano Enter, il quale disse di averlo personalmente colpito a morte in risposta a due colpi di fucile sparatigli dal noto rivoluzionario. Un'altra ricostruzione dei fatti è stata tramandata oralmente nella zona, differenziandosene solo nell'individuazione dell'uccisore. In realtà, nessuno sa con precisione come veramente siano andate le cose, almeno nell'ultima ora dell'esistenza terrena di Carlo Pisacane. Sappiamo che un gruppo di rivoluzionari sbarcati nel territorio del Regno, commettendo una serie di violenze e uccidendo un giovane ufficiale, hanno fatto uscire dal carcere di Ponza moltissimi detenuti, in massima parte comuni, e con circa trecento di essi, unitisi al gruppetto dei liberali, si sono portati in armi sulla costa del Principato Citra, col proposito di scatenarvi una rivolta. Sappiamo anche che presso Sanza un gruppo di gendarmi, capitanati da Sabino Laveglia, si opposero allo sbarco come il dovere loro imponeva, ottenendo l'appoggio di parte della popolazione. Sebbene la banda dei rivoltosi si presentasse più debole, non c'è dubbio che lo scontro rappresentasse comunque un rischio per chi aveva scelto di parteciparvi, anche da parte realista. Quindi bisogna avere l'onestà intellettuale di riconoscere che i gendarmi e i popolani ebbero del coraggio. Se poi nell'azione vi furono degli eccessi, vanno certo condannati; come del resto bisogna condannare il massacro di inermi prigionieri borbonici consumato dai liberali repubblicani a Velletri. Di certo, all'arrivo di Garibaldi in zona, tre anni dopo, Sabino Laveglia, il fratello Domenico, il farmacista Filippo Greco Quintana e Giuseppe Citera, furono presi e fucilati da un "liberale", tale Cristoforo Ferrara di San Biase, frazione di Ceraso. Incredibilmente, nel raccontare l'evento, c'è chi parla di "processo" fatto dallo stesso boia. Il che fa capire perfettamente quale concetto di giustizia abbiano certi esaltatori del risorgimento. Io penso che Carlo Pisacane, il quale inneggiava all'uccisione immediata, per accoltellamento, di ogni appartenente al partito borbonico, e, ovviamente, dei poliziotti, non avrebbe mai preteso né pensato di non trovare opposizione armata. Era un militare serio e non avrebbe accettato versioni dolciastre e strumentali della sua estrema vicenda terrena, che fu sbocco coerente del suo pensiero. Ma su questo rifletteremo prossimamente. (continua) (Edoardo Vitale)
Santa Marina: Inaugurazione Sportello Antiviolenza
Sarà inaugurato domani, mercoledì 16 giugno, alle ore 11.30 lo Sportello Antiviolenza, presso la Delegazione Comunale in via Duomo a Policastro Bussentino. “Un'altra iniziativa importante -Ha Commentato il Sindaco di Santa Marina Giovanni Fortunato- Dopo la Ludoteca inaugurata la scorsa settimana, mercoledì inaugureremo uno Sportello Antiviolenza. Policastro sta diventando il centro dei servizi territoriali e questo è un servizio essenziale. Troppo spesso purtroppo le violenze non vengono denunciate, questo potrebbe essere un valido supporto per chi ha bisogno di aiuto e non sa a chi rivolgersi. Un supporto fondamentale per una società che vuole crescere. Colgo l'occasione -Continua Fortunato- per ringraziare il Piano di Zona S9, in particolare la Coordinatrice Gianfranca Di Luca, che si sta impegnando per offrire al territorio questi servizi essenziali, come Amministrazione siamo sempre pronti a collaborare, soprattutto per aiutare chi ha bisogno, per offrire solidarietà e vicinanza ai cittadini”. Santa Marina lì 15.06.2021 (Comune di Santa Marina)
Riprendono i lavori del Nuovo Polo Scolastico a Policastro Bussentino
“Con Grande soddisfazione annuncio che riprenderanno i lavori al Nuovo Polo Scolastico che sorgerà a Policastro Bussentino - ha dichiarato il Sindaco di Santa Marina Giovanni Fortunato- Sono contento di comunicare a tutti i miei cittadini che il Consiglio di Stato ha stabilito la ripresa dei lavori, ma soprattutto ha sancito la correttezza dell'operato del Comune di Santa Marina. A breve potranno ripartire i lavori quindi e completare il nostro grande progetto, per realizzare un eccellente organismo didattico, fornito di tutti i mezzi necessari per la formazione scolastica, per l'utilizzo delle nuove tecnologie, con annessa biblioteca, laboratorio e sala multimediale. Il nostro percorso verso il progresso e la costruzione della Città del Futuro continua, realizzeremo questa grande opera nonostante i ricorsi di gente piccola, che non pensa al benessere del nostro territorio, ma soltanto ai propri interessi. L’intento dell’Amministrazione Fortunato è sempre stato quello di salvaguardare gli interessi dei cittadini per costruire insieme un paese sano, in cui poter lavorare e crescere i nostri figli”. Santa Marina lì 15.06.2021 (Comune di Santa Marina)
Sapri, 2 giugno: Matteo Petti festeggia in strada la Repubblica
SAPRI- Nell’ambito dei festeggiamenti per il 2 Giugno (nascita della Repubblica Italiana), è da segnalare la lodevole iniziativa di un cittadino naturalizzato saprese, tale Matteo Petti originario di Serre (Sa) che risiede a Sapri da ben tre lustri, il quale in questa giornata è solito cambiare aspetto alla strada in cui abita Via Nicodemo Giudice (già Via Roma) al civico 37 apponendo da un lato all’altro, festoni, bandiere, palloncini e coccarde tricolori, sfoggiando leggiadro al vento il tricolore dal balcone di casa (una modesta dimora, d’altri tempi che si erge su tre livelli), il tutto accompagnato dalle note di sette inni, tra cui quello Nazionale (Fratelli d’Italia) coinvolgendo nei festeggiamenti (che vanno avanti per l’intera giornata), sia i vicini che quanti in tale giorno si trovano a transitare nel tratto di strada sopraindicato davanti l’uscio di casa, ai passanti adulti: una buona tazza di caffè, pasticcini, un pezzo di torta (rigorosamente tricolore) coccarde e spille; ai bambini caramelle, cioccolatini, bibite analcoliche, palloncini e bandierine tricolori acquistate a “sue spese” per tale occasione. “La Festa della Repubblica - afferma il Petti - mi ha sempre coinvolto emotivamente, fin da quando ero bambino, come pure quella del 25 aprile; giorni in cui espongo al balcone di casa il tricolore accompagnato dalle note dell’Inno Nazionale. E’ un retaggio che mi lega ad uno dei momenti più belli della mia fanciullezza! Ero bambino, quando il mio nonno “omonimo” (Petti Matteo), Sottoufficiale del Regio Esercito di stanza a Persano (frazione di Serre), fu insignito dell’onorificenza militare di “Cavaliere di Vittorio Veneto” per aver preso parte al primo Conflitto Mondiale (1915-1918). Ricordo che in occasione del 25 aprile (Liberazione) e del 2 giugno (nascita della Repubblica Italiana) veniva a casa mia, presomi per mano andavamo a queste due importanti manifestazioni patriottiche, un tempo molto sentite e partecipate da nord a sud dello Stivale. A me, piacevano molto, entrambe! Perché allietate dall’arrivo in paese, della fanfara dei Bersaglieri che al ritmo della marcia d’ordinanza (flik flok) correva per le vie del paese, per l’occasione addobbato a festa, col “tricolore” seguita a ruota da un codazzo di gente comune! Gli promisi che quando sarei divenuto grande, il 2 giugno avrei festeggiato, tale consuetudine. Quella di quest’anno, è la decima edizione! -non mi ha fermato neanche l’emergenza sanitaria Covid-19 di questi due ultimi anni. Lo faccio, per lui e tutti coloro che credono nei “valori” della Repubblica! Particolare emozione, mi suscitano i bambini, che accompagnati dai genitori, vengono letteralmente rapiti dalle note dell’Inno Nazionale, si fermano ammaliati a guardare la bandiera tricolore, che sventola sul balcone di casa. In pensione dallo scorso anno, ero il responsabile amministrativo del Ser.D. (Servizio Dipendenze), del Distretto Socio Sanitario n. 71 Sapri-Camerota. Nel mio ufficio, affissa alla parete avevo la foto del Presidente della Repubblica in carica, perché ritengo sia molto importante trasmettere alle nuove generazioni l’amore per l’Italia e la Repubblica!” Una lodevole iniziativa, quella di Matteo Petti che ha colorato e allietato, l’intera giornata di “Festa per il Tricolore” e trasmesso messaggi importanti a piccoli e grandi, “Messaggio” che a sua volta gli fu inculcato da piccolo dal nonno paterno omonimo Cavaliere di Vittorio Veneto (classe 1891), sottoufficiale del Regio Esercito in forza al Reggimento Cavalleggeri di stanza a Persano, che partecipò al primo Conflitto Mondiale (1915-1918). Ma non è tutto! Quest’anno la Festa della Repubblica (in ricordo del referendum che il 2 giugno 1946 sancì il passaggio dell’Italia dal sistema politico monarchico a quello repubblicano), è coincisa con un’altra data storica: i 100 anni dalla tumulazione della salma del milite ignoto al Vittoriano (Roma). Correva il 4 novembre 1921, quando presso l’altare della Patria sotto quella che doveva essere l’ara dedicata alla dea “Roma” fu tumulato quel che rimaneva delle spoglie mortali di un militare ignoto “simbolo” di tutti i militari che hanno perso la vita per il nostro Paese. A suggello di entrambe le date storiche, il Petti ha offerto ai partecipanti un momento conviviale, a base di dolci a pasta di mandorla, zeppole calde, una torta multistrato, rigorosamente “tricolore”, caffè e bibite preparati amorevolmente dalla Carmelina Luongo, unitamente alla sorella Italia e al di lei marito Franco Cariello e figlio Enzo e le gustose pizzette in teglia, offerte dallo storico Panificio Zicca Clotilde. Il tutto, accompagnato dalle note di ben sette motivi militari, tra cui l’Inno Nazionale “Fratelli d’Italia”. Il Petti, non ha mancato di esporre oltre ai gadget donati ai passanti (spilline da giacca, raffiguranti il nostro tricolore, quale strenna per gli adulti, coccarde, palloncini, cappellini e bandierine tricolori e tanto altro), anche dei cimeli storici e documenti inediti dell’epoca, in parte retaggio dell’avo, e parte frutto d’una accurata e minuziosa ricerca di acquisizione su internet e attraverso il canale dei mercatini di “oggetti usati e antiquariato”. Tra questi ultimi, alle spalle del Petti, campeggiava la stampa di una donna (l’Italia), che illustra un sunto dei vari accadimenti storici intervenuti dalla nascita della Repubblica ad oggi e una foto dell’antenato in piedi accanto al suo fidato cavallo e il regio brevetto con cui gli venivano conferite una croce di ferro e una medaglia al valor militare. Tra i tanti, che hanno transitato per Via Giudice, in occasione del 75° Anniversario della nascita della Repubblica Italiana, onorando con la propria presenza l’iniziativa del Petti: il primo cittadino della Città della Spigolatrice dott. Antonio Gentile apprezzato commercialista, l’assessore comunale Franco Di Donato (con delega a ambiente, territorio e commercio), la dirigente del Servizio Ragioneria del Comune di Sapri, Mariuccia Milito, col marito geometra Pasqualino Greco, tanti colleghi dell’ambito lavorativo (Ospedale e Distretto), rappresentative singole e associate di Associazioni che operano nel sociale (come Protezione Civile, Croce Rossa Italiana delegazione di Sapri, la Pubblica Assistenza New G.E.O. nella persona del suo direttore generale Cav. Alfredo Masiello), il team leader la Maxi Emergenza Cilento Sud, dott. Cav. Gerardo Fiorillo e tanti altri! Un plauso al cittadino “esemplare” Matteo Petti, naturalizzato saprese, per la costanza, coraggio e dedizione con cui di anno in anno (quest’anno cade la decima edizione), promuove questa bella iniziativa, destinata nel tempo a crescere ancora ed espandersi ad altre aree del tessuto urbano cittadino e che oltre ad essere “simbolo” della nostra Unità Nazionale, custodisce un messaggio rivolto ai giovani affinché siano fedeli custodi (memoria) della nostra storia identitaria. (Pino Di Donato)
Petti Home (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Via Nicodemo Giudice a festa (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Cimeli storici (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Petti e i cimeli (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Il nonno Cav. di Vittorio Veneto (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Drappo e coccarda sul portone (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Petti con l'assessore Franco Di Donato (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Mazzi di rose e torta tricolore (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Torta tricolore (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Taglio della torta (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Taglio con i parenti (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Petti con i passanti (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Storica manifestazione a Roma della R.E.A. al fianco delle Tv e Radio locali
Quella del 10 giugno 2021 a Roma, sarà ricordata come una data storica, grazie alla manifestazione pacifica, per rivendicare sacrosanti diritti in nome della libertà di espressione e di impresa (articoli 21 e 41 della nostra Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza!), della R.E.A. (Radio Televisioni Europee Associate) davanti al Ministero dello Sviluppo economico di Viale America. Vi hanno partecipato moltissime emittenti Radio-Televisive, provenienti da tutta la Penisola, con striscioni e con il desiderio che, una volta per tutte, ci sia trasparenza nel settore della Comunicazione. "Mani pulite nella Comunicazione" si leggeva sugli striscioni e sulla "Vela della libertà-Mani pulite" della R.E.A., che presidierà in viale America, per un'altra settimana, "...affinchè -ha osservato il Presidente della R.E.A.-, dottor Antonio Diomede -non si dimentichino di noi"! Per un pioniere-pirata dell'etere come me, che ha vissuto, negli anni Settanta, quella magica stagione di libertà di espressione, con Vasco Rossi, il siciliano Peppino Impastato e il potentino Nino Postiglione, che, di recente, proprio la R.E.A., ha definito, dopo attenta indagine conoscitiva, il "primo pioniere delle Radio libere in Italia", vedere l'ottantunenne "barricadero" Presidente Diomede, con un megafono in mano "gridare", sotto il Ministero, i diritti delle piccole e medie emittenti Radio-Televisive, auspicando che..."venga fatta pulizia in un settore, dove sono stati in tanti a sporcarsi le mani", è stata una gioia per gli occhi e per il cuore! Di contro, ho provato tanta amarezza, dopo il comportamento del Sottosegretario di Stato, dal primo marzo con delega alle Comunicazioni, On.le Anna Ascani, classe 1987, che ha "ragionato" peggio dei politici democristiani della prima Repubblica, i quali, diciamolo a chiare lettere, erano politici veri ed avrebbero, comunque, ascoltato le ragioni del Presidente Antonio Diomede! L'On.le Anna Ascani non ha ascoltato Diomede e non ha concesso l'Auditorium del Ministero per la conferenza stampa conclusiva! Il Presidente Diomede, ha incassato, però, la presenza alla manifestazione dei deputati leghisti Alessandro Pagano e Massimiliano Capitanio, del "5 Stelle" On.le Filippo Perconti, e del capogruppo alla Regione Lazio di Fratelli d'Italia Fabrizio Ghera: inviato speciale di Giorgia Meloni, che ha pranzato con i manifestanti! E' intervenuto, telefonicamente dala Sicilia, Salvo Vitale, compagno di lotta alla mafia di Peppino Impastato, che, dall'alto dei suoi 78 anni, ha affermato tra l'altro che "...bisogna sempre resistere e lottare per garantire il pluralismo informativo e che non hanno perso di attualità, 45 anni dopo, le proposte d'intervento radiofonico di Peppino Impastato"! Erano presenti i sindacati Libersind ConfSal e Federlavoro, e va evidenziata anche la presenza del coordinatore nazionale dell'API (Autonomi e Partite Iva) Maurizio Bianchi, che, oltre alla salvaguardia dell'informazione territoriale, ha sollecitato lo stanziamento di fondi "ad hoc" per la piccola editoria radio-televisiva, "la cui importanza, in termini di informazione e di ruolo sociale per l'Italia, è indiscussa", al fine di tutelare posti di lavoro. Gli ha fatto eco il Vice-Presidente della R.E.A. Gabriele Betti, secondo il quale "... si è cercato di dare fondi pubblici in maniera distorta a tante aziende vicine ad ambienti della Confindustria, togliendoli, e non dandone pochi, ad aziende che hanno svolto un lavoro serio per decenni"! L'emendamento della R.E.A al Decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, (20 milioni di euro per l'anno 2021, con il 25% in parti uguali tra le emittenti che hanno ricevuto in precedenza un beneficio economico non superiore a 40.000 euro, e il 75% suddiviso in parti uguali, tra le emittenti escluse in precedenza da qualsiasi beneficio), che è stato fatto proprio dai parlamentari presenti, "se approvato -ha osservato con forza il Presidente Diomede- farebbe giustizia alle 335 emitenti, per via dell'infausto art. 195 del decreto legge 34/2020, conosciuto come "Rilancio", attraverso il quale si sono volute privilegiare le famose 100 emittenti televisive locali, assegnando il 95% dei 50 milioni di euro stanziati, lasciando sul lastrico il rimanente settore". Per la cronaca, va sottolineato che, all'inizio della manifestazione, è stato osservato un minuto di silenzio in onore di Peppino Impastato. Dopo il minuto, un grande applauso ha onorato la sua memoria!(Tonino Luppino)
Mani pulite sulla comunicazione (Comunicato R.E.A.) - Roma 10 Giugno 2021 www.telearcobaleno1.it
Mani pulite sulla comunicazione: manifestazione R.E.A. (Roma 10 Giugno 2021) Interviste a Antonio Diomede (Presidente R.E.A. Radiotelevisioni Europee Associate) e Gabriele Betti (Vice Presidente R.E.A.) www.telearcobaleno1.it
Tracciato Alta Velocità, Nuzzo: «Cronaca di una morte annunciata»
COMUNICATO STAMPA DEL SINDACO DI CASELLE IN PITTARI IN MERITO AL NUOVO TRACCIATO DELL'ALTA VELOCITA': “Cronaca di una morte annunciata“ ! Il richiamo al romanzo di Gabriel Garcia Marquez è quello che meglio può rappresentare la realtà del nostro territorio in relazione al tracciato dell’alta velocità. Tutti sapevano, fin dall’inizio, come sarebbe andata a finire e nessuno ha fatto nulla per evitarlo. Che il tracciato dell’AV sarebbe passato per il Vallo di Diano e che avrebbe proseguito per la Calabria era cosa nota. Altro che deviazione per Sapri. Ma, a parte l’AV, sta passando inosservata un’altra problematica importante. L’Ospedale di Sapri prima o poi, per la cronica carenza di personale (vedi Cardiologia), rischierà non più il ridimensionamento, ma addirittura la chiusura. Anche in questo caso tutti sanno e tutti tacciono. Auspico la immediata convocazione di un tavolo di confronto tra i sindaci, i rappresentanti sindacali e delle associazioni di categoria per discutere del futuro e di quale prospettiva di sviluppo vogliamo per il nostro territorio, avanzando, a tal fine, proposte concrete e condivise. (Il Sindaco di Caselle in Pittari, dott. Giampiero Nuzzo)
Restaurata «Licusati in festa»(1947-M° Limongi) dal M° Claudio Mautone
Grazie all'impegno del prof. Gerardo Chirichiello Dalla partitura del secondo clarinetto della marcia sinfonica "Licusati in festa" del Maestro Edoardo Limongi (1912-2004), che all'epoca era Direttore della banda musicale di Licusati, frazione di Camerota, suggestivo centro collinare del Golfo di Policastro, il Maestro Claudio Mautone di Pisciotta è riuscito a far venire alla luce l'intera partitura, con un encomiabile lavoro di restauro armonico-melodico ed instrumentazione. A Licusati, dove la banda ebbe Maestri come Berardinelli, Manta, Verdoliva, Farnetano e, quindi, il Maestro Edoardo Limongi, originario di Maratea, gli anziani ricordavano con affetto Limongi, per le sue grandi doti artistiche e la sua innata bontà d'animo. Il clarinettista, era Felice Saturno, classe 1905, volato in cielo all'età di 102 anni, che aveva regalato la sua partitura al Maestro Fedele D'Alessio, che, oggi, è docente di clarinetto presso la scuola secondaria di primo grado ad indirizzo musicale "G. Speranza" di Centola. La storia di questa marcia sinfonica, vale la pena raccontarla! Alcuni mesi or sono, il professor Gerardo Chirichiello, originario di Licusati, al quale è legato da un vincolo di eterno Amore, che vive a Cittiglio, in provincia di Varese, dov'è Consigliere Comunale e Capogruppo di maggioranza, con delega alla Cultura e alla Pubblica Istruzione, mi invia lo spartito di Saturno. Subito, ne parlo con il figlio del Maestro Edoardo Limongi, professor Biagino, sperando di trovare copia dell'intera partitura, che, però, non si riesce a recuperare. Dunque, ci affidiamo alla bravura del Maestro Claudio Mautone, che, come d'incanto, dopo un lavoro di alcuni giorni, per la gioia del professor Gerardo Chirichiello, riesce a restaurarla ed instrumentarla. L'appuntamento, è per il prossimo 5 agosto a Licusati, dove la marcia sinfonica verrà presentata al popolo e agli appassionati di musica bandistica. "Abbiamo scelto -osserva Chirichiello- il giorno in cui la comunità fa memoria del Beato Giustino Maria Russolillo (Pianura,1891- Napoli,1955), fondatore della Congregazione religiosa dei Vocazionisti, delle suore Vocazioniste e dell'Istituto Secolare delle Apostole della santificazione universale, che spesso si recava a Licusati come predicatore. E nel 1947 -aggiunge il professor Gerardo Chirichiello- la banda lo accolse con la marcia "Licusati in festa"! (Si ringrazia Gioacchino Cavaliere del gruppo "Licusati nel mondo" per la foto della banda del 1930) (Tonino Luppino)
Partitura Licusati in Festa (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Banda musicale di Licusati (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Maestro Edoardo Limongi (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Maestro Claudio Mautone (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Professor Gerardo Chirichiello (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Beato Giustino Russolillo (Fare clic sull'immagine per ingrandire)
Giornata vaccinale, comunicato del Sindaco di Caselle in Pittari
IL SINDACO DI CASELLE IN PITTARI ENTUSIASTA PER IL SUCCESSO DELLA GIORNATA VACCINALE DI IERI A CASELLE IN PITTARI: "STRAORDINARIA ADESIONE ALLA GIORNATA VACCINALE NEL NOSTRO COMUNE, CON OLTRE 600 DOSI SOMMINISTRATE! GRANDE PARTECIPAZIONE DI TUTTO IL PERSONALE DEL COMPARTO TURISTICO, DELLA RISTORAZIONE E DELLE ATTIVITA' COMMERCIALI" "Una grande partecipazione con oltre 600 persone vaccinate e, tra queste, il personale di tutto il settore della ristorazione, turistico e di tutti gli esercizi commerciali di Caselle in Pittari. Sono questi i numeri che hanno reso estremamente positivo il bilancio della giornata vaccinale di ieri. Ringrazio ancora una volta il Direttore sanitario dell’Ospedale di Sapri, dott. Calabrese, tutto il personale sanitario ed amministrativo per l’assistenza professionale profusa e tutti i volontari del COC COMUNALE per l’organizzazione impeccabile. Grazie a tutti Voi è stato possibile ottenere un ulteriore e significativo risultato nella lotta al Covid e avviarci a vivere un’estate serena." (Il Sindaco dott. Giampiero Nuzzo)
Il Sindaco di Caselle in Pittari dott. Giampiero Nuzzo