Cento anni fa, il 15 maggio 1921, gli italiani furono chiamati a rinnovare la Camera dei Deputati. Per capire quel che ci attende nel prossimo futuro è doveroso ricordare quelle elezioni. L'Italia era sull'orlo di un precipizio. La fine della Grande Guerra conseguì risultati profondamente rivoluzionarî e di crisi. Il primo fu la creazione dell'Unione delle repubbliche socialiste Sovietiche grazie al trionfo della rivoluzione bolscevica, interna alla Russia, capitanata da Lenin. La crisi europea fu legata ai problemi territoriali del dopoguerra con il declino della storia europea che cominciò a diventare mondiale senza necessariamente avere una origine europea. L'Italia fu tra i paesi che furono maggiormente colpiti dalla crisi poiché gli accordi si conclusero senza il nostro governo a poter difendere i suoi interessi. Nella conferenza di pace di Parigi, svoltasi dal 18 al 21 gennaio 1919, dove il tavolo delle trattative fu preso in mano dagli Stati Uniti il cui presidente, Thomas Wilson, non nutrendo alcuna simpatia per il nazionalismo italiano, non riconobbe il patto di Londra. All'Italia fu riconosciuta una vittoria mutilata ed i risultati della pace ebbero una gravissima esasperazione sull'opinione pubblica italiana con una ripercussione sulla politica interna. A gennaio del 1919 entrò in campo un nuovo soggetto politico: il partito popolare di don Sturzo che, a pochi mesi dal suo apparire, il 16 novembre 1919, entrò in parlamento con oltre cento deputati. Il 23 marzo 1919 Benito Mussolini, ex socialista massimalista, chiamando a raccolta gli sbandati di estrema destra e di estrema sinistra, fondò a Milano i fasci di combattimento, ottenendo, nelle elezioni di novembre del 1919, quattromila voti. Le elezioni del 16 novembre 1919 assegnarono a socialisti e popolari metà dei seggi della Camera e, su impulso di Giolitti, allarmato dalla sinistra che dichiarò di fare come in Russia, i moderati fecero blocco con i conservatori, liberaldemocratici, radicali, combattenti e fascisti opposti a popolari e socialisti. Così ebbe inizio il biennio rosso con scioperi nelle fabbriche e nei servizi. Il 12 luglio 1919 Gabriele D'Annunzio, a capo di un esercito di volontari e ribelli, si impossessò della città Dalmata, contesa dal Regno Jugoslavo. Il 12 settembre 1919 lo stesso d'Annunzio corse ad occupare Fiume e vi istituì una reggenza la quale, causando rogne internazionali, durò fino a Natale del 1920. Il 16 giugno 1920 Giovanni Giolitti, alla ribalta politica dal 1892 e sei volte Ministro dell'Interno, tornò a fare il Presidente del Consiglio. In settembre affrontò il problema dell'occupazione delle fabbriche negando lo sgombero forzato con i militari, contrariamente a quanto chiedevano gli industriali capeggiati da Giovanni Agnelli. A gennaio del 1921, a seguito del congresso socialista tenutosi a Livorno, si diede vita al Partito Comunista Italiano guidato da Antonio Gramsci. Il 15 maggio 1921 si rinnovò la Camera dei Deputati. Giovanni Giolitti, che brancolava sin dalle elezioni del 16 novembre 1919, cadendo in errore, credette di poter vincere le elezioni. La legge elettorale imponeva di ottenere il consenso delle masse, ma a causa del diffuso analfabetismo, l'elettore doveva essere persuaso, o agganciato, attraverso il simbolo della lista. I dati del censimento del 1921, per la popolazione maggiore ai sei anni, diedero un analfabetismo, approssimativamente, al 10% nell'Italia settentrionale, al centro saliva al 21% e nella Borbonia felix al 40%. Le percentuali, per regione, erano: Trentino e Friuli 2%; Veneto 15%; Lombardia 8,6%; Piemonte 6,8%; Emilia Romagna 21%; Toscana 28%; Umbria 37%; Lazio 26%; Abruzzo 38%; Campania 40%; Puglia 49%; Basilicata 48%; Calabria 48%. I risultati elettorali del 15 maggio 1921 non confermarono le ottimistiche previsioni di Giolitti. I gruppi parlamentari, causati dalla proporzionale, salirono da 11 a 14, assicurando il massimo della rappresentatività ma sbarrando la via alla governabilità. Il fatto politico nuovo fu l'ingresso alla Camera di 35 deputati fascisti tra cui Mussolini. I socialisti persero 33 seggi recuperati solo in parte dai comunisti, che ne ottennero 15, restando il più consistente gruppo parlamentare. Seguiva il partito popolare che usciva rafforzato rispetto alle precedenti elezioni, guadagnando otto seggi. A Giolitti sfuggì la nuova dimensione della lotta politica uscita dalla prima guerra mondiale, la forza e la capacità di aggregazione dei partiti di massa e, soprattutto, il carattere eversivo del movimento fascista. Giudicò il fascismo una forza che poteva essere inglobata nel sistema dello Stato liberale e non colse l'eccezionalità del fenomeno fascista. L'operazione tentata da Giolitti concesse, in realtà, spazio e credibilità al fascismo, rivelandosi una sorta di tarlo che, anziché puntellare, accelerò la crisi delle istituzioni liberali. Il 27 ottobre 1922, il movimento fascista, ormai trasformatosi in partito, marciò su Roma e l'Italia vestì la Camicia nera. La Camera eletta il 15 maggio 1921 fu quella che a metà novembre 1922, a larghissima maggioranza, approvò il governo di unione costituzionale presieduto da Mussolini e che nel 1923 approvò la legge maggioritaria (Giolitti-Acerbo), definita "frutto tossico della proporzionale", sulla cui base gli italiani andarono a votare il 6 aprile 1924 eleggendo la Camera che poi generò il regime del partito unico. Questo insegna la storia che, per chi la conosce, è magistra vitae. Cosa accadrà in Italia nei prossimi mesi con le elezioni del Capo dello Stato e, poco dopo, delle Camere? Tanti, scuotendo il capo, affermano: "Mala tempora currunt ma se ne preparano di peggiori". (Ferruccio Policicchio)
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