Quel 19 luglio del 1992 era una calda domenica di inizio estate, le spiagge italiane erano già affollate e l’aria di vacanza si materializzava sui nostri sogni adolescenziali. Il refrain dei tanti tormentoni musicali estivi risuonava dai bar del lungomare fino agli ombrelloni colorati e rumorosi. Ma alle 16.58 di quella dannata domenica, un botto a Palermo in Via Mariano D’Amelio interruppe istantaneamente l’estate spensierata di noi adolescenti ed atterrì tutto il Paese. A meno di due mesi dal vile attentato di Capaci, che causò la morte del Giudice Giovanni Falcone, di sua moglie e di tre agenti di scorta, la mafia era stata di nuovo capace di colpire ed uccidere l’amico ed ideale successore dell’opera di Falcone, Paolo Borsellino con cinque uomini della sua scorta. Al tempo si parlò solo di mafia, ancora non erano chiare le collusioni tra potere criminale ed apparati deviati dello Stato. Ancora nessuno ci aveva mai parlato della “Trattativa”, ancora non potevamo pensare, noi adolescenti idealisti del ‘92, che mafia e parti dello Stato potessero essere coinvolti insieme nell’uccisione di un onesto e leale servitore delle Istituzioni Repubblicane. Ricordo, come se fosse oggi, l’indignazione che si sollevò in tutte le parti di Italia, nel nostro piccolo anche noi, adolescenti spensierati e vacanzieri, volemmo fare qualcosa per ricordare la memoria di quell’uomo giusto. Tuttora mi attanaglia l’emozione con la quale preparammo e dedicammo la nostra piccola trasmissione radiofonica al giudice Borsellino e quella canzone di Franco Battiato, “Povera Patria”, che utilizzammo come sigla di apertura e chiusura di quel nostro spazio libero su Radio Arcobaleno 1. Da quel 19 luglio del 1992 sono passati 28 anni. L’adolescenza è andata perduta con l’avanzare inesorabile del tempo, ma l’idealismo è rimasto quello di allora. La voglia di verità, la voglia di sapere chi e perché ha ucciso Borsellino ed i suoi cinque agenti di scorta (tra di loro anche la prima donna della PS a cadere in servizio, Emanuela Loi) è indelebile nelle nostre coscienze. La nostra amata Italia è un Paese strano, stranissimo, dopo 28 anni ancora non sappiamo i nomi degli esecutori materiali e di tutti i mandanti della strage di Via D’Amelio. Direte, perché sorprendersi, non sappiamo ancora chi ha messo la bomba a Piazza Fontana, perché si è sacrificata la vita di Aldo Moro, chi ha abbattuto il DC-9 ad Ustica, chi ha fatto saltare la stazione di Bologna ecc., ecc. Sorprendersi forse no, ma indignarsi certamente sì. Un Paese che si definisce civile e democratico non può nascondere ed insabbiare le verità sulle stragi. In un Paese che si definisce civile e democratico, parti dello Stato non possono operare in combutta con criminali per eliminare Magistrati o semplici cittadini. Un Paese che si definisce civile e democratico saprebbe dire basta e riuscirebbe a storicizzare e superare questi shock, attraverso la verità. Forse, Paolo Borsellino fu ucciso anche per questo. Gli ultimi due mesi della sua vita, dalla morte dell’amico Falcone a quel maledetto 19 luglio, li visse come se non avesse più tempo, come se già sapesse di essere prossimo al martirio, questo ci dicono i familiari e gli amici che gli erano vicini in quei giorni. Cosa resta della Strage di Via D’Amelio? Sicuramente i tanti depistaggi. Inquietante è quello che scrive la Corte di Cassazione nel 2019 in relazione alle condanne sulla strage, definendole, in uno dei passaggi della sentenza: “Uno dei più gravi errori giudiziari della storia del nostro Paese”. Impossibile credere, che quelle negligenze, quelle indagini indirizzate male, siano stati soltanto errori. C’è qualcosa di diverso dietro il mistero di Via d’Amelio, dietro il mistero della sparizione dell’agenda rossa del Giudice Borsellino trafugata dall’auto blindata pochi minuti dopo l’esplosione della bomba. Cosa c’era scritto di tanto importante in quell’agenda rossa da richiedere un intervento così immediato di una mano galeotta e certamente non direttamente mafiosa, in una strada di Palermo tanto somigliante in quel momento a Beirut? Enigmi che si aggiungono ad enigmi; Borsellino era stato informato della “trattativa” in corso tra Stato e mafia? Testimonianze di colleghi e familiari ci fanno credere di sì. Come emerge dalle carte processuali e dalle dichiarazioni dei pentiti, l’attentato al Giudice subì ”un’accelerazione” per ordine di Totò Riina. Perché questa “accelerazione” improvvisa del capo di Cosa nostra? Domande alle quali, anche dopo 28 anni, il popolo italiano pretende una risposta in memoria di un eroe della legalità che ha sacrificato la propria vita per la lotta alla criminalità mafiosa ed a cui tutti noi siamo debitori quanto meno della verità. (Giuseppe Ferri)
Paolo Borsellino
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