A Giovanni Giolitti - presidente del consiglio fino al 21 marzo 1914, dal 29 marzo 1911 - era noto che la maggioranza del paese era neutralista. I giolittiani, a prescindere dalla debole struttura economica italiana, dalla scarsa preparazione militare e dai rischi che la guerra avrebbe potuto arrecare, basavano il loro neutralismo sulla convinzione che l'obbiettivo di riunire alla madre patria Trento e Trieste, ancora sotto l'Austria, era possibile attraverso trattative diplomatiche. Per evitare la guerra vi fu un intenso succedersi di colloqui diplomatici. Uno sforzo che si compì con la maggiore serenità di giustizia per trovare il modo di risolvere il problema della guerra e tutelare gli interessi nazionali senza imporre al Paese prove dolorose e sacrifici che si sarebbero avvertiti per lunghi anni. Una guerra, anche se intrapresa con i migliori auspici e la sicurezza della vittoria, è sempre una calamità nazionale, sia per le giovani vite che fatalmente sopprime e sia per lo scompiglio che apporta in tutte le funzioni dello Stato. La pace e il buon governo, al contrario, sono sempre stati l'unico fattore di evoluzione e di progresso per i popoli civili. La neutralità italiana consentì alla Francia di sguarnire la frontiera con l'Italia e di spostare tutte le sue truppe sul fronte germanico; e all'Italia fu di gran sollievo perché una guerra al fianco dell'Austria sarebbe risultata impopolare. Tra gli interventisti il gruppo più attivo e rumoroso fu quello dei nazionalisti che, ritenendo la guerra un dovere categorico, si riallacciava, idealmente, alla lotta Risorgimentale. Cattolici, Socialisti, liberal giolittiani e mondo della cultura, fatta eccezione per Gabriele D'Annunzio e pochi altri, furono neutralisti. Il neutralismo dei cattolici era alimentato dal papa Benedetto XV, appena succeduto, il 20 agosto 1914, a Pio X, il quale, nel suo primo concistoro pronunciò parole di pace e, da parte avversa, fu subito tacciato come un qualunque deputato giolittiano "che vede sfuggirsi il potere". Tra i socialisti va ricordato il direttore dell'Avanti il quale, definendo all'inizio la guerra "nuovo macello di popolo", aveva aspramente polemizzato contro la guerra capitalista e borghese. Questi era Benito Mussolini, che, pochi mesi più tardi, cambiando radicalmente opinione, espulso dal partito, riuscendo a trovare fondi da finanziatori favorevoli all'intervento, fondò un giornale di battaglia: Il Popolo d'Italia, che divenne uno dei più decisi e violenti giornali favorevoli all'entrata in guerra. Tra le maggiori industrie interessate alla guerra vi era la Fiat, costruttrice dell'arma più usata in quella guerra: la mitragliatrice; tanto usata che il nostro esercito organizzò circa duemila compagnie chiamate, appunto, "mitragliatrici Fiat". Sul primo numero, uscito a Milano il 15 novembre 1914, Mussolini scrisse: […] Oggi - io lo grido forte - la propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica l'istinto della conservazione individuale. Ma per ciò stesso è una propaganda antirivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell'impero austriaco; la facciano i borghesi, contrabbandieri o meno, che - specie in Italia - dimostrano la loro pietosa insufficienza politica e morale; la facciano i monarchici, che, specie se insigniti del laticlavio, non sanno rassegnarsi a stracciare il trattato della Triplice che garantiva, oltre alla pace (nel modo che abbiamo visto), l'esistenza dei troni; codesta coalizione di pacifisti sa bene quello che vuole e noi ci spieghiamo ormai facilmente i motivi che ispirano al suo atteggiamento. […] All'entrata in guerra dell'Italia, Mussolini, da socialisti e cattolici, per essere stato tra i capi degli interventisti, fu considerato imboscato e vigliacco per non essersi arruolato volontario. Il futuro duce partecipò al combattimento dopo il richiamo (classe 1883), dal dicembre 1915 a febbraio 1917. Non fu ammesso al corso ufficiali, ma riuscì ad avere il grado di Caporal Maggiore poco prima che venisse ferito. Dopo che, a quota 144, sul Carso, il 23 febbraio 1917, assaggiò la polvere austriaca - dichiarato guarito a luglio gli furono concessi due mesi di convalescenza che ad agosto furono prolungati a 12 - non tornò più al fronte come dovettero fare, invece, molti altri feriti da ogni angolo dell'Italia. Evidentemente le autorità militari ritennero che il suo contributo, invece al fronte, fosse più utile a Il Popolo d'Italia, dove, poi, cominciò a pubblicare il suo personale diario di guerra. Il negoziato che Giolitti stava portando avanti con Austria e Germania, poneva sul tavolo delle trattative Trento e Trieste, in cambio della neutralità. Ma il suo negoziato fu boicottato dal presidente del consiglio (21.3.1914 - 18.6.1916), Antonio Salandra; dal ministro degli esteri, Sidney Sonnino e dal ministro delle colonie Ferdinando Martini secondo cui l'Italia non doveva perdere l'occasione di annettersi il Trentino per concludere l'opera del Risorgimento. Salandra, convinto che la guerra sarebbe stata breve e costata poco, parlava di "piccola guerra" cioè a dire che l'Italia doveva condurre la sua guerra esclusivamente contro l'Austria, suo secolare nemico. E, come sempre succede, la guerra fu voluta da pochi e subita da molti. Il 26 aprile 1915, con l'Intesa, (Francia, Inghilterra e Russia) in Inghilterra, il Governo sottoscrisse il cosiddetto Patto di Londra in forza del quale s'impegnava ad entrare in guerra, nel giro di un mese, ricevendone in cambio, in caso di vittoria, il Trentino e l'Alto Adige fino al Brennero; Trieste e l'Istria, alcune isole sulla costa adriatica e Valona in Albania. Questo patto trovò il favore del Corriere della Sera di Milano, ma l'opposizione dalla Stampa di Torino. Il 24 maggio 1915 la guerra fu dichiarata dall'Italia all'Austria, ma non alla Germania cui verrà dichiarata il 25 agosto 1916, con l'aspirazione di compiere la sua indipendenza dal dominio straniero e la sua unità nazionale. Immediatamente la Bulgaria si schierò con gli Imperi centrali e la Romania con l'Intesa. Tutti entrarono in guerra senza tener conto degli sviluppi della tecnologia militare pensando che si trattasse della solita guerra, sanguinosa ma condotta con manovre di truppe e cariche di cavalleria: si scontrarono, invece, con aerei, mitragliatrici, cannoni e gas asfissianti. (Ferruccio Policicchio)
Giovanni Giolitti (1842 - 1928)Benito Mussolini (1883 - 1945) in trincea
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