C'è una certa tendenza ad enfatizzare oltre misura il passato. Si legge spesso per strada "antico forno a legna", "antica gelateria", "antica ricetta" etc. e, soprattutto sempre più spesso si sentono giudizi negativi sulla contemporaneità messa in relazione al passato. "Ai miei tempi" i figli erano più ubbidienti, mai sarebbe successo "ai miei tempi" etc.. Tutto questo è, a mio avviso, frutto di una visione miope della realtà e della storia. Quel "buon" pane di una volta era fatto da operai sottopagati che lavoravano in condizioni ambientali disastrose, che non avevano una retribuzione adeguata alle ore di lavoro svolte. Sempre quel "buon" pane di una volta era lavorato in condizioni igieniche che definire precarie potrebbe sembrare un eufemismo. La "buona" pasta fatta in casa dalle donne in paese era fatta da persone che erano pressoché recluse, che non avevano dignità sociale e personale, erano, come dicevano i romani in potestà; donne che non votavano, crescevano i figli, lavoravano in campagna e poi accudivano la casa e il marito. Allora una prima considerazione va fatta in ordine a quale "passato" ci si riferisce, a quale storia; esiste cioè una "obiettività della storia"? Io ritengo che non possa esistere una obiettività perché non può esserci una rigida separazione tra l'osservatore e ciò che viene osservato. Guardare un fatto del passato determina un complicato processo di interrelazione e interazione tra i due termini; perciò quando si contesta un giudizio di un nostro predecessore lo si fa non perché assolutamente falso, ma perché inadeguato, perché prodotto da un punto di vista che fatti ulteriori hanno dimostrato superato o irrilevante. Ogni tempo, anche il nostro, è contemporaneamente passato, presente e futuro; ognuno di noi è prima figlio e poi padre. Quel pane e quella pasta che oggi evochiamo, all'epoca in cui veniva fatta era "nuova" rispetto a quella che i vecchi di allora ricordavano e chissà se era peggiore della sua precedente. E' quindi tutto relativo e in quest'ottica i prodotti e i comportamenti della nostra contemporaneità, quando saranno "quelli di una volta" saranno apprezzati e rimpianti. Il fatto è che solitamente si fa confusione tra progresso ed evoluzione. Questa confusione genera un fraintendimento molto più grave per cui l'eredità biologica che è la fonte dell'evoluzione, viene confusa con le acquisizioni culturali, che sono la fonte del progresso storico. Mentre l'evoluzione si misura in termini di millenni o di milioni di anni, il progresso legato alle acquisizioni culturali si può misurare in termini di generazioni. La storia è dunque progresso in quanto le capacità acquisite da una generazione vengono trasmesse ad un'altra. Non ha senso affaticarci sul problema dell'inizio del progresso o della civiltà o peggio ancora del suo termine; un eminente storico inglese del secolo scorso, Acton, affermò, a ragione, che "la storia non è una mera registrazione di progressi avvenuti, ma una scienza fondata sul progresso". Io personalmente credo nel progresso il che non significa che creda a un processo automatico o inevitabile, bensì significa che credo allo sviluppo progressivo delle potenzialità umane. Sono per il progresso perché oggi si è allungata la vita, si è ridotto il dolore fisico, si sta più caldi di inverno e più freschi d'estate. E allora ogni giudizio negativo che noi diamo sui giovani adolescenti di oggi è sbagliato perché misuriamo la loro vita e i loro comportamenti con una unità di misura sbagliata: la nostra adolescenza. Ma come possiamo pretendere comportamenti omogenei tra due entità così diverse? A 16 anni, nel 1971, io avevo una sola televisione in casa in bianco e nero con due soli canali le cui trasmissioni avevano inizio alle 16,30 e terminavano a mezzanotte. Oggi i miei figli si svegliano con Josè Elia che commenta i giornali e si addormentano con il film sulla pay tv. Io telefonavo con il gettone dai telefoni pubblici, i miei figli con skype. Io avevo il passaporto anche per andare in Francia, loro non passano la frontiera. Non possiamo essere uguali così come io non potevo essere uguale a mio padre e lui a mio nonno; ma questo non significa che siamo migliori. (Giovanni Falci) Avv. Giovanni Falci
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