GLI EXTRACOMUNITARI A TORRACA: “I NIURI” Nel giorno dedicato alla “memoria” della shoah mi è capitato di parlare con un mio amico di Torraca che mi chiedeva cosa ne pensassi dei “niuri a Torraca”. Egli si riferiva alla voce che corre in paese, e cioè che Torraca, in due strutture pseudo alberghiere, dovrebbe accogliere una cinquantina o più di extracomunitari. Era preoccupatissimo per la sicurezza e, in un certo senso, per il decoro del paese. A prescindere dal motivo del suo atteggiamento ostile all’accoglienza dettato da un moto di stizza per qualcuno che da questa storia lucrerà guadagni, non può che concludersi che il razzismo oggi è più presente di quanto pensiamo. A nulla servono i documentari e i film che rappresentano l’orrore dell’olocausto, il più violento fenomeno di razzismo della storia. Abbiamo comprensione e commozione per quel fatto solo perché non ci riguarda da vicino. Quando invece l’”altro” lo vediamo e lo tocchiamo, cammina nelle stesse “nostre” strade e si siede sulle “nostre” panchine, allora ci fa paura e deve andarsene. Costruiamo subito un nemico e si sviluppa l’odio per il Diverso. In effetti noi tendiamo con molta leggerezza a intendere odio e amore come due opposti, che si fronteggiano in maniera simmetrica; come se ciò che non amiamo lo odiassimo e viceversa. In realtà le cose non stanno così. Tra odio e amore ci sono una serie infinita di sfumature. Il fatto che io ami il tennis ma non vado pazzo per la boxe non vuol dire che odi la boxe. Mi piace meno del tennis. Ora tornando al senso proprio dei termini, che io ami i miei familiari e miei amici, i miei paesani, non significa che io odi tutte le altre persone a cui non sono legato da tale rapporti, all’opposto dell’amore può, infatti esserci per esempio l’indifferenza, il rispetto,la curiosità etc.. Se riflettiamo bene l’amore isola, è un sentimento egoistico, possessivo, selettivo; una madre ama i suoi figli e non amerebbe mai con la stessa intensità i figli di altri. Invece l’odio può essere collettivo e così lo hanno e lo intendono i regimi totalitari. Così infatti avviene sotto le dittature e i populismi e spesso anche le religioni nella loro versione fondamentalista. L’odio verso il nemico unisce i popoli e li fa ardere di eroico furore; l’amore scalda il cuore nei confronti di poche persone; l’odio, invece riscalda il cuore nei confronti di una nazione, di una etnia, di gente di colore (i niuri del mio amico) o dalla lingua diversa. Il razzista torrachese allora odia tutti gli extracomunitari, gli albanesi, i rumeni o gli zingari, ma ama gli sfruttatori, i parassiti,i prepotenti, i truffatori, i corrotti, gli evasori solo perché sono del suo paese e forse anche suoi parenti o amici. (...) Mi hanno raccontato di “corne” di dominio quasi pubblico, ma poi lo scandalo è stato la relazione pubblica di un torrachese con una “straniera”. Forse la regola è che se si tradisce la moglie con una paesana è lecito e rende migliore, più maschi, se invece ci si accoppia con una straniera è vietato e immorale; e forse andare a messa regolarmente la domenica cancella tutta l’immoralità che poi si pratica in privato. La forma che cancella la sostanza, la teoria che prevale sulla prassi, l’ipocrisia come valore contro la sincerità da evitare. Allora c’è bisogno di educare le persone alla convivenza pacifica, all’accoglienza, anche a rischio di qualche incidente di percorso. Non possono pagare migliaia di innocenti per l’errore di pochi. E di questa educazione deve farsi carico l’amministrazione comunale e la chiesa: i due poli del potere che a Torraca sono sulla stessa strada. Tra questi due poli c’è una statua messa da pochi anni: rappresenta un soldato con un fucile in mano che lo coglie mentre scaglia una bomba contro l’odiato nemico (non sarebbe stato meglio l’immagine di un soldato morto, vittima dell’odio?). Ecco, dunque, la storia di noi uomini è stata sempre segnata dall’odio e dalle guerre e dai massacri e non dagli atti d’amore. E’ come se avessimo una propensione alle “delizie” dell’odio che risulta naturale coltivarla dai rappresentanti delle istituzioni, mentre all’amore ci invitano solo esseri scostanti che baciano i lebbrosi. Si presenta, dunque, una occasione per Torraca e per i torrachesi di affermare il diritto alla felicità di persone disperate e profughe. In genere siamo portati ad associare l’idea di felicità sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella degli altri e anzi siamo indotti sovente a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra. Caro amico di Torraca ricordati che di fianco all’extracomunitario che scippa la borsa o vende lo spinello per strada, c’è pure Leonarda Cianciulli la saponificatrice, Pietro Cavallero con la sua gang di Milano, la banda di via Osoppo, Freda e Ventura, gli autori della strage di Bologna. E ancora non mi sembrano extracomunitari Previti e Berlusconi sospettati di corruzione dei giudici di Roma, oppure Maso che ha ucciso i genitori, Omar e Erika di Novi Ligure, la Franzoni, i coniugi di Erba Rosa e Olindo, Sindona, Calvi e tantissimi altri ancora. E ricordati amico mio che non avresti detto niente né osteggiato il soggiorno di queste persone nel nostro paese. Il male e le persone da “odiare” ci sono dappertutto e sicuramente in misura minore tra questa povera genia di disperati. Questi sono quelli di cui non si occupa la stampa e la televisione quando vengono sfruttati nelle campagne, nei ristoranti, quando muoiono sulla statale 18 a Eboli o a Battipaglia nel rientrare nella loro baracca con la bicicletta senza catarifrangenti dopo 15/16 ore di “lavoro”. Perfino per un grave fatto di sangue avvenuto a Vibonati nessuno ha detto che un italiano ha ucciso la moglie extracomunitaria, se fosse stato all’inverso si sarebbe parlato solo di questo e si sarebbe fatto appello alla sicurezza. Convivere con loro può solo migliorare i torrachesi troppo chiusi e isolati nel loro piccolo “paradiso” e che vedono solo sullo schermo il mondo che soffre veramente e che da vicino è molto diverso e si capisce meglio. Pensate che queste persone che cammineranno nelle strade di Torraca (ancora non capisco perché il mio amico era così preoccupato di questa possibile scena) sono gli stessi negretti che muoiono di fame divorati dalle mosche, ammalati di mali incurabili, distrutti dallo tsunami, che i mezzi di massa ci presentano e a cui mandiamo l’obolo con il telefonino. Che fortuna poterli accogliere. (Giovanni Falci) Giovanni Falci
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