Ho pregato la dottoressa Evidea Ferrara di autorizzarmi a pubblicare il suo intervento nel ricordo di mia moglie Rosita, pronunciato con evidente e comprensibile emozione al termine della Santa Messa del 22 giugno scorso. Sapevo della stima nei suo confronti da parte della dottoressa Ferrara e del corpo docente, ma non di tali proporzioni ! Pertanto, Vi propongo di seguito , cari visitatori di questo splendido portale, i pensieri dell' amica Evidea, sicuro che ne trarrete tutti giovamento.(Tonino Luppino)
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Dopo l'essenzialità e l'esaustività delle parole di don Nicola e la sacralità del rito funebre, dopo le toccanti parole di Caterina pronunciate evidentemente in rappresentanza di tutte le amiche, è difficile aggiungere parole.
Io in più devo far leva su tutta la mia scarsa capacità di autocontrollo emotivo per pronunciare non un elogio funebre - non ne ha la pretesa - ma trasmettere, come sento di fare, attraverso le parole, un'emozione. Sono qui per esprimere il cordoglio unanime della scuola che amorevolmente ha accolto Rosita qualche anno fa nel suo organico e che poi l'ha come adottata, sentendola ancora una parte di sé, in attesa che arrivasse il sospirato trasferimento definitivo e finisse questa brutta storia del problema di salute dal quale non riusciva, ma sperava caparbiamente, di venire fuori, prima o poi. Niente da fare, Rosita! La tua vicenda terrena si è conclusa col più ineluttabile e crudele verdetto che noi pur temevamo ed il nostro anno scolastico deve registrare il malinconico epilogo che mai avremmo voluto immaginare e che abbiamo scongiurato, fino alla ferale notizia che ci ha lasciati sgomenti, sbigottiti, addolorati.
Abbiamo respinto, fino all'ultimo, con tutte le nostre forze, l'oscuro presagio di morte che aleggiava ormai, purtroppo, nei nostri discorsi. "Solo un miracolo", sussurravamo l'uno all'altro. "Un miracolo!", abbiamo invocato, sperato, pregato! Sapevamo del tuo Calvario. Ti seguivamo da lontano, quelli tra noi che non avevano il coraggio di incontrarti, Rosita: come superare l'imbarazzo? Come infonderti coraggio? Come ero stata brava, invece, tre anni fa, quando ero stata da te stessa messa al corrente di un qualche problema di salute su cui bisognava indagare. Eri all'inizio, e non lo sapevi!, dell'ancora nebuloso viaggio della speranza ed io ti ho sostenuta, quasi scrollata con forza , vincendo le tue resistenze ad assentarti, esortandoti a non fare calcoli sui giorni di assenza ma di prendere per te stessa tutto il tempo che ti occorresse: gli adempimenti burocratici potevano attendere. Era un giorno di giugno, come adesso. Era giugno anche quando due anni prima a Sanza, in commissione d'esame, avevo conosciuto una professoressa di francese schiva, discreta, riservata ma della quale ho subito pensato: "ma come è brava e composta questa professoressa!"
Il mio pensiero in questo triste momento va ad altre due valenti docenti che negli ultimi tre anni ci hanno lasciato, nel pieno svolgimento della loro vita professionale o appena all'inizio della stagione del meritato riposo, egualmente estratte come a sorte, per precederci nell'aldilà, in questa paradossale roulette che ci appare a volte la vita. Le accomuno a te, Rosita, per un debito nei loro confronti, ora che il tempo trascorso mitiga il mio coinvolgimento personale per analoghi contemporanei epiloghi luttuosi sofferti e mi fa essere più tetragona, più rassegnata ad accettare per tutti noi la volontà di Dio. Nemmeno a loro sono riuscita in vita a dare una parola di conforto; a loro nemmeno una parola di commiato! Le vicende terrene che si concludono così in anticipo rispetto a ciò che è lecito sperare, suscitano inevitabilmente incredulità, costernazione e rimpianto, soprattutto per la sensazione di strappo, di fiore reciso anzitempo che le accompagna. Ma la brevità del percorso esistenziale non è mai avara di messaggi significativi per chi li vuole cogliere e ne vuole serbare memoria. Tanti flash la illuminano ora la mia memoria: pochi per tratteggiare con dovizia di particolari una personalità, sufficienti per lasciare una traccia indelebile ed inequivocabile, nel momento dell'estremo saluto. Seria, impegnata, competente, Rosita. Amava il suo lavoro nella scuola, Rosita. Approfondiva sempre più le sue conoscenze; era lei a nobilitare la propria materia di insegnamento e la propria professione, non il contrario, come qualche volta purtroppo accade. Mai una sbavatura, una caduta di tono o di stile nel comportamento professionale integerrimo di Rosita che la faceva a volte apparire severa perché esigente. Protagonista all'interno della scuola senza averne l'aria, la pretesa o la vocazione; protagonista - come dire - suo malgrado, per la coerenza e l'onestà intellettuale che la contraddistinguevano e la ponevano nella condizione di esprimere opinioni, forse scomode, ma ineccepibili, che mettevano un punto fermo su tante parole.
Povera, cara Rosita! Quanta tenerezza suscita oggi - ed era giugno, sempre giugno, come oggi - il ricordo dell'ultima volta che è venuta a scuola, un anno fa, a salutare i suoi colleghi. Maldestramente e goffamente ho mascherato l'imbarazzo esibendo una falsa, disinvolta gaiezza, mentre avrei voluto solo abbracciarla e piangere con lei, visto che quelle preoccupazioni sulla salute confidatemi tre anni prima si erano rivelate ben più gravi di quelle che lei allora temeva! Quanta tenerezza, quanti sensi di colpa per non avere saputo trovare - pur avendoci provato - il modo, la forma, l'occasione per fingere altrettanta gaiezza e passare a salutarla, così, quasi per caso, in questo ennesimo, ultimo giugno in cui spesso mi veniva riferito: "Direttrì, vi manda tanti saluti Rosita". E pensavo: " Allora devo proprio andare, non posso più nascondermi: ma come faccio? E se sbaglio? Non sono brava a recitare!" Rosita dignitosa, Rosita schiva, Rosita affettuosa, Rosita riconoscente. Questa la Rosita che abbiamo portato nel cuore in questi anni, in questi mesi, in questi giorni, nelle ultime sue ore terrene. Questa la Rosita che porteremo ancora nel cuore e che ci spronerà sempre col suo esempio: dignitosa nello svolgimento del suo compito professionale come nell'affrontare la sofferenza della malattia; sempre discreta, sorridente, mi dicono, quasi a scusarsi di stare male.
Questa è la Rosita che siamo certi ora veglierà su tutti noi che abbiamo avuto il privilegio di conoscerla ed amarla ma soprattutto sui suoi adorati Ignazio e Manuel, su Tonino, sul papà, la sorella, sui parenti tutti tra cui le instancabili cognate ed amiche che hanno provato ad alleviarle le sofferenze fisiche e morali (Evidea Ferrara, Dirigente scolastica) Sapri, 22 giugno 2011
Rosita Arato
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