L'analisi La Nazionale, Gravina e i guitti E' scattato il conto alla rovescia per il controverso mondiale di calcio, che alzerà il sipario domenica 20 novembre alle ore 17.00 con Qatar - Ecuador e si concluderà il 18 dicembre. Un evento "anomalo" -anche per il calendario- il cui programma si snoderà per la prima volta nella storia in autunno, invece che nella consueta stagione estiva. Rassegna iridata orfana dell'Italia, sulla cui penosa e inopinata eliminazione urge un ulteriore approfondimento. Al di là del fallimento sportivo e del miserando giustificazionismo, dal peloso minuetto dei "padroni del vapore" alla stucchevole pantomima, la seconda esclusione consecutiva dalla competizione più importante per nazionali di calcio, fotografa con nitore l'assenza di progettualità, la penuria di programmi e la visione tutt'altro che lungimirante sul piano delle riforme da sempre enunciate -attraverso improbabili e impalpabili task force- ma mai realizzate. Eppure l'attuale governance del calcio italiano era nata sulle ceneri dell'altro disastro sportivo in salsa svedese dell'autunno 2017, con il presidente federale Tavecchio e il commissario tecnico Ventura collocati sulla graticola e costretti a rimettere il mandato per la mancata qualificazione a Russia 2018. Sin dal suo insediamento, Gabriele Gravina da Castellaneta, ma abruzzese d'adozione, ha recitato il ruolo del Re Travicello, incapace anche di elaborare un manifesto di idee, da trasformare in obiettivi da perseguire. Ancorato alla sua elezione del 22 ottobre 2018 che con il 97,2% dei voti (le maggioranze "russe" evocano sempre stagioni inquietanti) lo catapultava alla massima carica della Federazione Italiana Giuoco Calcio, oggi non ha saputo porre in atto neppure la più elementare strategia operativa, in primis il varo di un innovativo format dei campionati (a partire dalla serie A, con la riduzione delle squadre partecipanti da 20 a 18, o addirittura a 16 club) per non ingolfare il calendario e dare maggiore spazio alla Nazionale. Ma GG, evidentemente, oltre a godere di buona stampa e circondarsi di prestidigitatori dal raffinato talento nell'intingere la penna nella saliva, riesce anche ad ipnotizzare frotte di politici bipartisan. Non si comprende, infatti, come nel 2019 abbia ricevuto a Bruxelles dal parlamento europeo -non nuovo alla vacua retorica- il premio "La Moda veste la Pace", per le attività di contrasto al razzismo nel calcio svolte durante il suo mandato. Peccato che i privilegiati studiosi della circonferenza del cetriolo -esangui ispiratori del "parmesan", animatori e facitori di strutture elefantiache- non avessero l'esatta cognizione e la lucida percezione della feccia che spadroneggia negli stadi italiani, godendo e abusando di totale impunità e agendo in una sorta di "zona franca", maramaldeggiando contro le forze dell'ordine e inoculando quel mefitico veleno di teppismo, razzismo, omofobia, discriminazione territoriale, che non solo non dovrebbero trovare spazio negli ambienti sportivi, ma andrebbero estinti in qualsiasi società civile. Sembrava passata un'era dal precedente e imprevedibile ko che estromise gli azzurri dal mondiale russo. Ma più ci si avvicina all'inaugurazione nell'universo degli emiri, maggiore è il rimpianto per la disfatta dell'Italia e le inevitabili conseguenze che non possono esaurirsi al mero crollo sportivo. Deficit di proposte, scelte senza raziocinio, una federazione più attenta ai formalismi, capace solo di favorire politiche di piccolo cabotaggio a danno dell'intero sistema, squassato da polemiche insipienti e da guasti incalcolabili. Fino a quando il governo del calcio non provvederà ad una ristrutturazione globale, valorizzando la risorsa ineguagliabile dei settori giovanili, l'Italia non tornerà ai fasti antichi. Ma la strada è ancora lunga e irta di ostacoli. Almeno a leggere le regole cervellotiche partorite da GG e dai suoi epigoni. Per accedere al supercorso per allenatori di prima fascia si è pensato di varare un protocollo bislacco che prevede non il merito, la capacità, lo studio, l'aggiornamento, la formazione, bensì la militanza -da calciatori- nei campionati di serie A o B. Una bizzarrìa che se fosse stata in vigore negli anni scorsi, avrebbe precluso panchine prestigiose agli atleti dilettanti -ma successivamente divenuti allenatori di successo- del calibro di Arrigo Sacchi, Helenio Herrera, Jurgen Klopp, Zdenek Zeman, Sven Goran Eriksson, Alberto Zaccheroni. L'ennesimo e sconcertante autogol di una federazione brava solo nel navigare a vista. Sul fallimento mondiale un grazie sincero va rivolto a Mancini, non tanto per l'inatteso Europeo dello scorso anno, o perché sia esente da chiare responsabilità sul disastro sportivo contro la Macedonia del Nord. Ma non aver rimesso il mandato ha evitato un'altra figuraccia a GG, pronto a nominare Ct l'inadeguato Cannavaro con la balia nelle vesti di direttore tecnico del cipiglioso Lippi, passato alla storia più per l'indecorosa eliminazione a Sudafrica 2010, piuttosto che per il cielo azzurro sopra Berlino. L'unica consolazione inerente all'estromissione degli azzurri dai due mondiali finiti nel mirino delle indagini, è aver evitato un ruolo di raccapricciante "collaborazionismo" sportivo. Per una strana e nefasta coincidenza della storia, le massime manifestazioni planetarie di calcio, Russia 2018 e Qatar 2022, sono state assegnate nella medesima sessione di dicembre 2010, tra tanti dubbi di regolarità, mille sospetti di brogli, fino all'ipotesi di compravendita di voti da parte di russi e sceicchi per l'assegnazione delle rispettive rassegne iridate, con il comitato etico dell'organo di governo del calcio che, pur confermando oscuri scenari sull'attribuzione a due Paesi non democratici (le vicende di questi mesi sono una tragica testimonianza) non rivelarono alcuna prova di corruzione. Ora anche Amnesty International pone interrogativi inquietanti sulla gestione poco ortodossa di quelle scelte scellerate, decisioni improvvide, rimarcando soprattutto le palesi ingiustizie e il costante sfruttamento dei lavoratori migranti impiegati nella costruzione di stadi, alberghi, sistemi di trasporto e altre infrastrutture. Con un circostanziato dossier, l'organizzazione in difesa dei diritti umani nel mondo esorta la Fifa (Federazione internazionale delle associazioni calcistiche) a versare 440 milioni di dollari -l'equivalente di 450 milioni di euro- per risarcire centinaia di migliaia di lavoratori per gli abusi subiti. Una somma che corrisponde a quella versata per preparare, allestire e strutturare il mondiale nel Golfo Persico. Si calcola che in 10 anni siano state 6500 le vittime sul lavoro nei cantieri di Qatar 2022. "Da anni, la sofferenza di coloro che hanno reso possibile questa Coppa del mondo è stata nascosta sotto il tappeto -ha rincarato la dose Agnès Callamard, segretaria generale Amnesty International- e la massima federazione del calcio ha la responsabilità di porre rimedio alle violazioni dei diritti umani cui contribuisce". La somma che Amnesty International sollecita a pagare è giustificata dalla quantità di violazioni subite e rappresenta solo un'esigua cifra rispetto ai sei miliardi di dollari che la Fifa ricaverà dai mondiali nella penisola araba. Infatti più di un milione di persone si recherà in Medio Oriente per assistere all'evento cosmico. E mentre il pallone inizierà a rotolare, dal 20 novembre i parrucconi del calcio saranno inghiottiti da cattedrali nel deserto, impianti avveniristici senza avvenire. Freddi santuari, privi di anima. Proprio come quella energia algida prodotta dai maggiorenti della federazione internazionale che dodici anni fa offrirono il circo del football a due nazioni edificate su fondamenta illiberali. Sciaguratamente liberticide. (Pasquale Scaldaferri) 

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